Laudamo in città/Nel paese dei balocchi: “Solitudine” di Pavone sul palco, “ognuno di noi è una battuta”

Tutti siamo figli, ma pochi sono i padri. Sul palcoscenico la seconda stanza “Solitudine” di Annibale Pavone, che sarà in scena fino all’8 marzo presso la Sala Laudamo, per il cartellone “Laudamo in città” del Teatro Vittorio Emanuele in collaborazione con la Daf, ha meravigliato ed emozionato il pubblico, registrando già alla prima sold out.

Una luce sul palco, quella speranza e quell’attesa di potersi ritrovare. Quando Geppetto e Pinocchio si lasciano, l’unico modo per riprendersi è in una catastrofe: nel ventre della balena è lì che il figlio troverà la forza di salvare il proprio padre, promettendo di non abbandonarlo mai più.

La solitudine dei padri e quella dei figli è stata perfettamente raccontata da Pavone che, insieme ai suoi ragazzi che animano il laboratorio teatrale “Nel paese dei balocchi”, ha intrecciato narrazione fiabesca ed esperienza diretta di come oggi si vive un rapporto genitoriale, raccontandolo, poeticamente, attraverso un’alternanza di toni, che divide lo spettacolo in due parti: leggero e confidenziale per la prima, intimo e personale per la seconda. Gli attori in scena sono tutti protagonisti, narratori, spettatori e, ormai, anime vive, uscite dall’ “istinto”, attestano il loro essere radicati nella realtà, il loro mischiarsi alle fragilità umane.

Geppetto non è solo il padre che crea, modella, plasma il burattino di legno, ma anche colui il quale lo nomina, gli conferisce esistenza, quasi come una creatura divina. In realtà, il ruolo del falegname è calato nell’immanenza: “con questo burattino voglio girare il mondo per guadagnare un pezzo di pane”. È un padre che dice al proprio figlio ciò che non deve fare, è un padre che si lamenta, che fa mille raccomandazioni, che corre dietro a Pinocchio per salvarlo dai “mali del mondo”, sconosciuti al giovane burattino.

I figli perfetti non esistono e le bugie, allora, sono il rimedio migliore per offrire una giusta promessa ai padri per essere sempre giustificati. La verità, però, arriva come uno schiaffo. Di colpo il guaio: “guai ai ragazzi che abbandonano i genitori”. E di solitudine si veste Geppetto, che vive la sofferenza dell’abbandono. Di solitudine si veste Pinocchio, che fugge per ritrovare se stesso, per rincorrere la ribellione contro un padre incomprensivo.

E tra le righe di Lettera al padre di Kafka sorgono tutte le contraddizioni di un rapporto a due che non può dissolversi nel nulla: la paura, la freddezza, la distanza, l’ingratitudine sono i rimproveri dei figli, persino la troppa bontà, ma la colpa non è di entrambi: “è necessaria la verità per rendere felice il vivere e il morire”.

La più grande gioia dei padri è quella di vedere i figli uguali a loro: identici nella professione, nel carattere, nei pensieri. Ma guardarsi allo specchio porta con sé sempre un grande errore, quello di stare su un ring, di lottare per una sfida inutile, contro natura. Ed è da questo che Pinocchio vuole scappare, dall’oppressione, per cercare la “leggerezza” e la libertà di sbagliare, cadere, senza avere la preoccupazione di farsi salvare. I figli fanno le valigie quando sentono che lo spazio attorno a loro è stretto, scomodo, inattuale. Non un comodino, un letto e un tavolino, ma una nave in mare aperto, tra le onde che ti fanno oscillare, tra le onde che ti fanno naufragare. È indefinito il tempo che scandisce il salto all’età adulta, così come indefinita è la responsabilità che batte alla porta e diventa impegno per prendere decisioni importanti.

Nel ventre della balena, dove tutto è buio, nero e profondo, viene ritrovato il viscerale attaccamento di un figlio ad un padre: la solitudine, allora, diventa salvezza e, poi, memoria, quella che non può far cadere nell’oblio il ruolo fondamentale che ricopre per un figlio un genitore. Perché non è mai troppo tardi.

Così nella fiaba di Collodi ci siamo tutti noi: i padri premurosi o silenziosi, i padri mal riusciti o mai diventati, i padri mai nati e disonesti. Ci sono i figli con le loro pretese e ribellioni, i loro dubbi e le incertezze, le loro fughe e i tristi ritorni. Ci sono, però, anche i padri che hanno scelto di andare via, quelli che hanno preso un’altra strada, la cui anima improvvisamente si pone accanto a noi quando ne abbiamo bisogno. Un figlio ci sarà sempre per un padre e viceversa: nella vita si ameranno e si odieranno, nei sogni si rincontreranno e si parleranno.

Attrice, tra i 25 ragazzi sul palco, Aurora Ceratti, racconta la sua esperienza per “Solitudine”: “Questo spettacolo è cresciuto nel corso di un laboratorio, si è evoluto ed è stato plasmato da noi stessi, con l’importante aiuto di Annibale Pavone che ha riunito e riorganizzato tutte le nostre idee. Ci sono pezzi firmati di nostro pugno, canzoni, citazioni di altri autori, come Pasolini e Kafka, pensieri. L’obiettivo? Non recitare una parte, ma essere se stessi – evidente anche nella scelta di indossare maglie colorate -, portare sulla scena la nostra esperienza. Io non riesco a capire quanta emozione sia arrivata al pubblico, ma posso dire che noi ci siamo davvero emozionati, perché il tema padri-figli riguarda noi ragazzi molto da vicino, segnato da continue discussioni, allontanamenti e ricongiungimenti. Subito dopo “Solitudine” inizierà la preparazione alla terza stanza “Amore” di Paride Acacia, un’altra regia, un altro interessante punto di vista teatrale”.

Anche “Solitudine” già dalla prima si rivela un grande successo e andrà in scena fino all’8 marzo, con la sola esclusione di lunedì 3 e giovedì 5. Così commenta lo spettacolo Giuseppe Ministeri, presidente della Daf, estremamente entusiasta: “Il debutto di Solitudine per la regia di Annibale Pavone è andato benissimo, lo spettacolo ha emozionato tutti, siamo certi che dopo questa bellissima prima raccoglieremo tantissimo pubblico nei giorni a seguire e per tutte le recite. Ancora una volta, un grazie enorme va ai ragazzi del nostro gruppo laboratoriale, la vera forza del nostro progetto, davvero fantastici! Certo, Pavone ha saputo – con la collaborazione di Sarah Lanza e Giulia Drogo – raccogliere il testimone da Campolo e fare quello che un po’ doveva ed era giusto facesse, il suo spettacolo, la sua stanza, individuando la sua chiave di lettura del Pinocchio (rapporto padre/figlio), rappresentandola. Sta proprio qui la cifra del progetto Pinocchio, nel punto di vista che ognuno dei quattro registi riuscirà a tirar fuori. Ci vediamo alla Laudamo! Vi aspettiamo tutti!”

 

(Clarissa Comunale)

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it