San Remo, le pagelle della seconda serata del Festival: svettano Silvestri, Turci e Negrita

di Gabriele Fazio per Agi – Altro inizio, altro giro, altro pezzo di Baglioni. Stavolta tocca a “Noi no”, che il conduttore canta da solo prima di essere raggiunto da una serie di ragazzi che puntano rose sul pubblico come dei bangla qualsiasi, così Baglioni si vede costretto a cambiare il testo della canzone in “Noi no/davvero no/scusa stiamo mangiando no/davvero no/non ho spicci!/No!”.

La tradizione prosegue con il solito discorsetto, stasera si affronta la simbologia del 69 e il primo riferimento che viene in mente a Baglioni è lo Ying e lo Yang…povero Claudiuccio, ora ci spieghiamo la malinconia del 90% della sua discografia. Bisio in apertura annuncia che Sanremo durante la serata di debutto risulta essere trend topic in Norvegia, e poi parlano di fuga di cervelli.

I CANTANTI IN GARA 

Achille Lauro (6): il trapper riconvertito per l’occasione sanremese al rock, che un gruppo di strafatti di una piazzetta di provincia ha paragonato al Vasco Rossi di Vita Spericolata, viene chiamato a rompere il ghiaccio ma sbaglia mira e colpisce un po’ più in basso. Canta meglio che nella prima serata, impresa decisamente semplice. La canzone resta quella che è, e anche lui resta quello che è. Facile farsi il figo con Einar, Shade e Il Volo.

Einar (2): Solo una cosa è più brutta della canzone di Einar ed è la camicia indossata da Einar mentre canta la sua canzone. Una camicia talmente brutta che quasi quasi ci vien voglia di ascoltare la canzone. Fortunatamente il dilemma ci fa vacillare il tempo che sia canzone che camicia escano di scena e vengano riportati nel manicomio criminale dove evidentemente sono state partorite. Su Spinoza scrivono: “Comunque studiare musica per ritrovarsi nell’orchestra che accompagna Einar è come prendere tre lauree e ritrovarsi ministro Di Maio”. Geni.

Il Volo (-12): Bisio presentandoli cita il testo “Non siamo un soffio di vento” e tutti annuiscono perché sanno benissimo cosa sono: assomigliano ad un soffio di vento, ma vagamente più intimo e sgarbato, specie in pubblico, in diretta, sul palco di Sanremo. Non si fa, dai. Certe cose devono restare un segreto tra te e le lenzuola del tuo letto. Sono talmente detestabili, dalla voce al look e all’atteggiamento che ci fanno venire voglia di tifare per quei compagnetti alle medie che non li hanno bullizzati abbastanza. La canzone si intitola “Musica che resta” ed è una minaccia che ci taglia la schiena dal terrore.

Arisa (6,5): Rosalba è una persona deliziosa come, e forse più, delle sue canzoni. E poi è brava; in un’altra epoca avrebbe avuto alle spalle autori che le avrebbero scritto capolavori assoluti. Nel 2019 fa quello che può, nobilitando canzoni carucce, sperando che le ricapiti sotto mano un pezzo tipo “La notte”, canzone strepitosa. “Mi sento bene” non è una canzone strepitosa, ma è strepitosa la sua interpretazione. Andrebbe clonata e distribuita nelle case del mondo intero.

Nek (5,5): Nek è bello come vent’anni fa, quando grazie al Festival e una tale Laura che non voleva dargliela lo abbiamo conosciuto. Bello anche se prima di entrare si è seduto su una panchina con la vernice ancora fresca, bello anche se ricorda Beppe Fiorello che interpreta Al Capone in una fiction Rai (cosa che prima o poi, matematicamente, accadrà), bello anche se si muove come un Take That ubriaco. Nella scaletta la sua esibizione precede l’ingresso sul palco di Pippo Baudo e finita la puntata tutti a giocare a Supermario! La magia è avvenuta: siamo tornati tutti indietro nel tempo negli anni ‘90. Forte.

Daniele Silvestri (8,5): “Argentovivo” non è un semplice pezzo ma un intero lungometraggio, una storia raccontata in pochi minuti e che non risparmia nemmeno di entrare nei particolari. La fotografia di un disagio sociale commovente. Un brano di altissimo livello, meravigliosamente complesso. Rancore non rappa soltanto ma regala un’interpretazione reale, tangibile, arrabbiata. I bookmakers li danno favoriti alle spalle di Ultimo, se davvero finisse così avremmo l’ennesima prova del decadentismo che ci sta affogando senza pietà.

Ex-Otago (6,5): rispetto alla prima esibizione hanno preso confidenza col palco e va molto meglio, il brano perlomeno esce fuori. Non è un brano da festival, non questo di festival sicuramente. In un club, senza orchestra, farebbe la sua porca figura.

Ghemon (6,5): Se solo non guardasse in camera con quegli occhioni blu da psicopatico forse ci lascerebbe la possibilità di ascoltare la canzone, che è una gran bella canzone, scritta benissimo. Non domina il palco, sembra spaesato, sembra che canti giusto perché piazzato lì, non è il suo posto, fa quasi tenerezza.

Loredana Berté (6): stesso vestito, stesse scarpe, stessi capelli…sorge il sospetto che abbia passato la notte spenta dentro l’armadio di un sottoscala dell’Ariston. Quel marsupietto passerà alla storia come la valigia di Pulp Fiction, anche se stavolta qualche ideuzza su quello che può contenere ce l’abbiamo. Loredana ci piace, ci sta simpatica, continua a rappresentare nonostante le tante peripezie e controversie, un tempo che non tornerà più, personaggi che mantengono uno stile unico, mitico, leggendario, quei personaggi che non strizzano la storia ma la scrivono. Però ad un certo punto anche basta, non tiriamo troppo la corda.

Paola Turci (7): una classe innata quella di Paola Turci, destinata, vedrete, a guidare quel purtroppo sempre più piccolo esercito di signore della canzone italiana. La sua bellezza ferma gli orologi e il pezzo è altrettanto affascinante, di quelli che non vincono mai, ma in fondo chissenefrega, che la sua presenza serva da monito, che faccia scuola e doposcuola a qualsiasi donna si atteggi a cantante solo perché capace di qualche futile ghirigori.

Negrita (8): I Negrita andrebbero preservati perché restano gli ultimi a mantenere in vita una tradizione di cantautorato rock vecchia maniera che in epoca di social e talent, un tempo in cui la musica nel mondo della musica conta sempre meno, loro ci credono maledettamente. Non cantano perché vogliono una manciata di like o, per l’amor di dio, zeri in più nel conto in banca, ma perché inseguono un’epica irraggiungibile, e la inseguono con ferocia, sapendo quanto sia irraggiungibile, ma loro se ne fregano e continuano a suonare. E bene.

Federica Carta e Shade (2): Il Museo di Johnny Cash di Nashville ha ufficialmente denunciato Federica Carta per il furto di una camicia appartenuta allo storico bluesman, infuocate le dichiarazioni della direttrice del museo Join Angela Dodson: “Non è tanto il furto, è proprio la canzone che è tremenda!”. Shade se la balla sul palco come un Mauro Repetto che, purtroppo, ha anche facoltà di cantare, come un ragazzino che ha appena deciso di marinare la scuola. Brano destinato ad un pubblico di bambini, quelli che dovrebbero star lontani da tablet e computer per evitare danni, tipo regalare like a questa canzone.

GLI OSPITI

Fiorella Mannoia (7,5): Una gran signora della nostra musica che canta un gran pezzo, un’interprete di altissimo livello. Ma il pubblico italico, unanime, si chiede: ma non facevano prima a metterla in gara? Cioè….una volta che sta lì. Nella seconda parte dell’intervento duetta con Baglioni su “Quello che le donne non dicono”, splendida canzone che proprio a Sanremo, nel 1987, si classificò solo ottava per poi diventare un grande classico della musica italiana; cosa che ci ricorda, come se l’esibizione de’ Il Volo non fosse sufficiente, che il festival alle volte sa essere proprio crudele.

Pippo Baudo (10): il suo intervento dura pochissimo, il tempo studiato da un team di psicologici per non permettere al pubblico di chiedersi perché mai non conduce ancora lui. Non abbastanza però affinché dal primo all’ultimo dei telespettatori preghi che al prossimo blocco rientri lui e non Baglioni. Sul finale, dopo la pubblicità, si riapre il collegamento con l’Ariston con Pippo Baudo e molti pensano “ringiovanito Baglioni, eh…”. Nonostante le preghiere alla fine Baglioni entra e i due cominciano a raccontarsi aneddoti sconclusionati come due vecchietti davanti a un cantiere. Poi, come si risolve praticamente tutto in questa edizione del Festival, Baglioni canta.

Michelle Hunziker (4): insieme all’amico Bisio mettono in scena uno sketch difficile da comprendere e commentare. Non si spiega questo inseguimento, a tutti i costi, dei vecchi fasti del varietà italiano. Bisio sembra fissato, e ci sta, perché lui è cresciuto con quella roba lì ed era roba prestigiosissima, ma ora qualcosa non funziona, ora qualcosa non torna. Non è un’operazione vintage, non è un omaggio, è solo una faticosa rincorsa. E poi…ma perché farlo fare alla Hunziker? Il voto è basso, ma non è colpa sua, sia messo agli atti.

Marco Mengoni (7): il figlio di Bocelli, Matteo, arriva a Sanremo solo oggi, così lo buttano sul palco spacciandolo per Marco Mengoni. Chiede un Johnnie Walker, ma al bar dell’Ariston è finito, così rimediano solo un Tom Walker, un bravissimo cantante incastrato nel corpo di uno scaricatore di porto scozzese alticcio. L’effetto è ottimo. Piccola curiosità: se ascoltate il brano al contrario potrete scorgere nitidamente la voce di Mengoni che dice “sono il più figo uscito da X-Factor”. Dopo la pubblicità parte il duetto di rito con Baglioni, subito dopo aver accennato “L’essenziale” Mengoni dice “Sanremo mi ha cambiato un po’ la vita” e Baglioni risponde “Eh non sai a me…”.

Pio e Amedeo (9): l’intervento del duo comico vale l’attesa. I ragazzi pugliesi menano a destra e a manca senza sbagliarne una. Lo sketch è ben costruito, intelligente e anche raffinato, nonostante i personaggi che mettono in scena sono due tipici cafoncelli italiani. Fanno ridere di gusto mettendo in mezzo Baglioni, scazzottandolo come un pungiball, non lasciandogli il tempo di imporre la sua presenza, il suo aritmico senso dell’umorismo.

Baglioni sta lì, fa spallucce e si fa pure toccare e stiracchiare le guance, creando attimi di panico per paura che tutta l’impalcatura venisse giù. Pio e Amedeo sono scorretti, infiammati, naturali, simpatici, non falliscono dove in molti, più presi dalla voglia di far passare un certo tipo di messaggio radical chic, di significato alla loro presenza lì, hanno fallito, compresi osannati cavalli di razza della comicità italiana. Bravissimi.

Riccardo Cocciante (5): Cocciante mancava da Sanremo da una vita e ci bastano pochi secondi per capire perché. Proporlo oltre la mezzanotte è un’azione legalmente perseguibile dal codice penale. Ad accompagnarlo Giò Di Tonno, Vittorio Matteucci e Graziano Galatone che non sono nient’altro che un avvertimento, un orrendo flash forward che ci mostra ciò che succederà se continuerete a dar retta a Il Volo. A seguire, ma và, entra Baglioni per il duetto; la scelta ricade ovviamente su Margherita, tutto ok, sarebbe anche un bel momento, se non si fosse fatta ‘na certa e soprattutto Cocciante non rompesse la magia dimenticandosi parte del testo, della serie “una cosa dovevi fare”.

Laura Chiatti e Michele Riondino (s.v.): e poi, ad un certo punto, forse avendo finito i defibrillatori, fanno entrare quei due figaccioni di Michele Riondino e Laura Chiatti che cantano a Un’avventura di Battisti. Il pubblico non può fare a meno di chiedersi il senso di un’ospitata fissata all’una di notte e che mai avranno fatto questi due fino a quest’ora. Comunque, come sono entrati se ne vanno.

I conduttori

Claudio Baglioni (4): Sanremo non è altro che un fastidioso intermezzo tra un pezzo e l’altro di Baglioni. Noi lo diciamo per lui eh, perché gli vogliamo bene, Sanremo a Baglioni non fa affatto bene, è un modo particolarmente pericoloso di dar sazio al suo ego. Finita questa edizione, se davvero riusciranno a portarlo via dall’Ariston (perché che sia il suo ultimo festival non ci crede nessuno), finirà insieme a Pippo Baudo in una comunità di recupero per ex conduttori del Festival. Conclude il momento dedicato a Pino Daniele dicendo “Presto tutti noi torneremo a nuotare nelle acque del cielo. A presto!”. Mmm….ok. Magari non così tanto presto.

Claudio Bisio (5): durante un monologo annuncia di non essere laureato, dopo Sanremo evidentemente punta a un Ministero. Il suo proposito di rendere il tutto più leggero, improvvisato e naturale va a farsi benedire. Si diverte, è evidente, solo nello spettacolino con la Hunziker, e ne siamo lieti, così almeno qualcuno si è divertito. Noi molto meno e, per il resto della puntata, anche lui.

Virginia Raffaele (6,5): in conferenza stampa Bisio, pubblicamente, forse perché ha capito quanto scarseggiano le idee nella stanza degli autori, la invita a improvvisare di più. Ma niente, anche stasera viene incastrata in un copione vecchio come il cucco, forse scritto dagli stessi che scrivevano i testi delle vallette di trent’anni fa. Un vero peccato. Infatti quando si prende uno spazio tutto suo ci offre finalmente, per la primissima volta (e speriamo non unica) un ottimo momento televisivo, intelligente, divertente, raffinato. Esattamente come è lei. Sfugge la logica, comunque, che spinge gli autori a farle fare qualsiasi cosa tranne ciò che sa fare meglio.

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