Messinesità #adminchiam – Il messinese e le strada a ‘mbuto

di Simone Bertuccio – Vi ricordate “Rieducational Channel”, all’interno de L’Ottavo Nano, trasmissione condotta da Serena Dandini? Vi ricordate di Vulvia? Quanti ricordi su quel divano mentre guardavo quella trasmissione che tanto mi faceva ridere, che faceva molta satira politica e che sbeffeggiava il mondo della televisione.

Non che io ci capissi tanto – era il 2001 e frequentavo le medie – ma quando mi imbattevo nelle ricerche che le mie insegnanti mi chiedevano di fare e che mi portavano a copiare con la penna ciò che mi serviva delle enciclopedie, non potevo non rimanere colpito dalla parodia di Corrado Guzzanti con Vulvia che sbeffeggiava il blasonato Discovery Channel, che guardavo spesso sulla rete satellitare.

mbutoVulvia era un personaggio dal profondissimo non-sense. Millantava di nuovi e fondati studi scientifici – ovviamente inesistenti –, la scoperta di strani animali, poneva continui quesiti su argomenti come, per esempio, l’utilità del ferro da stiro, il perché un determinato frutto si chiamasse nel modo con cui noi tutti lo conosciamo e prendeva di mira, sempre, incondizionatamente e per qualunque ragione, la categoria dei Subacquei. Inventava pronunce su parole conosciute, ci e si chiedeva quale fosse la corretta scrittura di alcuni termini – anche della stessa parola “Subacquei” – e come dimenticare l’ampio utilizzo della parola ‘mbuto?

«’Mbuto! Chi ha inventato il primo ‘mbuto? Chi ha usato il primo ‘mbuto per travasare l’acqua? Come faceva il primo ‘mbuto? Si servivano di uno solo, o di più ‘mbuti?».

Ecco svelato l’argomento di questa settimana: ‘mbuto! Certo, non ci poniamo gli stessi quesiti che si poneva Vulvia ma a quanto ho avuto il piacere di notare, il concetto di imbuto, a Messina, non viene utilizzato solo per travasare l’olio che ci regala lo zio o, per dirla alla messinese, per fare le bottiglie.

No. A noi il concetto di imbuto piace inserirlo dentro la comunità cittadina.

Al messinese tipo piace il senso di comunità, il sentirsi quanto più possibile vicini l’un con l’altro, sentire il calore del corpo dell’altra persona vicino al nostro, il suo fiato sul collo, l’odore dei suoi capelli sotto le nostre narici, il rombo della macchina dell’altro che canticchia insieme al nostro ed a quello di tanti altri, insieme ad una sinfonica orchestra di clacson. Il messinese è una persona che baratta il complicarsi la vita con il desiderio di non stare mai solo.

BraveheartSe per esempio il messinese, in auto, si trova a percorrere un’ampissima strada, questo sceglierà di parcheggiare nel luogo più stretto, nonostante tuttavia non vi sia – secondo il codice stradale – nemmeno la possibilità per farlo. Ecco perché rischia ma in fondo quante volte l’abbiamo detto che al messinese piace rischiare? Rischia sui motorini, rischia sulla corsia preferenziale, rischia quando cerca di convincere gli ausiliari del traffico che loro non sono altro che pedine usate da una cospirazione politica mondiale per far fare cassa, rischiano quando passano col rosso, quando gettano le carte per terra, quando passano davanti alle stazioni di polizia, vigili urbani, con la loro voglia di far festa con le discoteche ambulanti, insomma, il messinese è un Braveheart.

Ma è anche un tenerone. Lo è perché altrimenti non si spiegherebbe questa sua tendenza a voler creare luoghi d’incontro in cui far confluire quante più persone possibili. È come se dentro il suo cervello avesse una sorta di radar che individua importanti punti nevralgici ad alta frequentazione.

Ha cercato di mettere in atto questa strategia anche a piedi, come per esempio fuori da alcuni locali che si trovavano proprio in prossimità di un semaforo: non importava che il locale si trovasse in prossimità di una piazzetta, che avesse anche un ampio marciapiede su cui potersi disperdere. Il messinese si raccoglie secondo strategie “ad minchiam”, spesso concentriche rispetto al punto nevralgico sopra citato. Il desiderio di voler sfruttare quello spazio, di aver individuato il punto “X”, deve necessariamente sacrificare la viabilità, sia delle automobili che di tutti quei passanti che di quel punto nevralgico se ne fregano altamente. Il messinese mira ad un bene superiore che noi comuni mortali spesso non riusciamo ad individuare.

Una volta studiando “sociologia del territorio” lessi che i governi dittatoriali cercavano di ridurre ai minimi termini i piccoli punti di raccolta. Che fossero dentro condomìni, o in mezzo ad un centro abitato, per esempio. Vi era la paura che si potessero creare zone in cui sarebbero potuti nascere dei focolai. Tutto doveva essere assoggettato al regime, quindi solo piazze grandi in cui riunire tutti per le grandi parate e mai piazze piccole per la riunione di pochi.

Ecco, il messinese è uno che va contro il sistema, contro il regime. Crea dei punti di raccolta autoalimentati.

Uno degli esempi più importanti – ce ne sono tanti – riguarda la zona di Provinciale. Una zona ad altissima concentrazione urbana, con negozi, bar, supermercati, una grande Chiesa, il verde pubblico della Villa Dante, scuole. È un punto nevralgico autonomo e di certo non avrebbe bisogno che ne venga sottolineato questo aspetto. Nonostante tuttavia si trovi tutto questo insieme di cose, benché vi siano anche i binari del tram che ne hanno di molto ridotto la carreggiata, le due strade che confluiscono proprio dinnanzi alla Chiesa – quella che porta dall’ingresso lato Sud di Villa Dante e quella che porta dal mercato Vascone – non sono per nulla strette. Sembrerebbe, forse è un effetto ottico, forse per anni hanno cercato di farcelo credere, ma non è proprio così.

Fin qui però tutto bene. Come potete notare dalla descrizione da me fatta le due strade confluiscono in un imbuto naturale. È tuttavia più avanti che il messinese decide di cogliere l’attimo. Il messinese ha scoperto un bug nella viabilità messinese; un bug che può essere produttivo per far confluire quanti più messinesi possibili nello stesso posto.

Si tratta proprio di un segmento di circa cento metri che va dall’ingresso della Chiesa fino a poco prima del semaforo all’incrocio tra la Via Catania e la Via Emilia. Un segmento in cui avviene di tutto e, sinceramente, non capisco come viene concesso che avvenga. Auto parcheggiate ambo i lati ma quel che colpisce di più è quel fastidioso parcheggio lato tram. Auto parcheggiate in serie – spesso anche in seconda fila ove la strada si allarga in prossimità del ponte di Gazzi – lungo tutto lo spartitraffico cementificato che separa la strada dai binari del tram. Pensateci bene: una strada già naturalmente ad imbuto, più un altro imbuto creato volutamente dal messinese dove orde di pedoni, auto, motorini, confluiscono suonando, rumoreggiando.

stradimbutoSi sta insieme, si scherza, è una riunione conviviale che va contro il sistema e quasi a sbeffeggiare quella che lo stesso sistema ha creato con il confluire della Via Catania e del Viale San Martino, proprio davanti alla Chiesa.

Et voilà che lo ‘mbuto è servito.

Non ci ho mai visto un vigile, giuro, mai. E non lo dico tanto per, ma davvero. Centinaia di auto che parcheggiano lungo lo spartitraffico del tram, tanti messinesi anti-sistema che rischiano (?) giornalmente per riuscire a creare un momento comunitario per questa città come solo lo Stadio Celeste sapeva fare.

È un po’ come se lungo il Viale della Libertà di punto in bianco si iniziasse a parcheggiare lungo lo spartitraffico che separa i binari del tram dalla grande carreggiata vicina alla nota Passeggiata. Anch’essa un luogo in cui riunirsi e a cui probabilmente il messinese potrebbe, in futuro, puntare per sovvertire il sistema.

Il messinese ha bisogno di tutto ciò. Ha bisogno di riunirsi, di sentirsi vicino all’altro, di accumulare quanti più simili possibili nello stesso punto e poi fare “Network”.

E Messina ha sempre avuto Amministrazioni magnanime che hanno preservato quest’indole così pura, seppur anarchica, del messinese.

Credo, ut intelligam.

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