Sfiducia ad Accorinti, l’Udc ci pensa e ci ripensa

È questione di tempi ma, a volte, si sa, anche cinque minuti fanno la differenza. Così quando qualcuno batte l’altro sul tempo e spara una superdichiarazione, allora bisogna correre ai ripari e spararla più grossa per non perdere la pole position.

È più o meno quello che è successo con la faccenda della sfiducia in questi mesi: tutti pronti a dare un bel calcio nel sedere a sindaco e giunta, almeno a parole. Poi qualcuno ha depositato documenti dal notaio, qualcun altro si è appellato ai colleghi per condividere il (documento) foglio di via per l’amministrazione, c’è chi ha colto la palla al balzo per organizzare una conferenza stampa che non guasta mai farsi ospiti di un briefing con la stampa.

E poi, viva Dio che in tutto sto ciarlare, quando due si dimettono assurgono a dignità di eroi, per l’opinione pubblica!

Comunque protagonista indiscusso di questo nuovo paragrafo (non certo un capitolo) della saga “Sfiducia sì, sfiducia no” è l’Unione di Centro, il cui leader, giusto qualche mese fa, lamentava il presunto gioco di Picciolo/Genovese affermando di non voler prestare il fianco ai due contendenti allo scettro del potere, a discapito della città.

Bene! Il passo successivo è stato annunciare che in assemblea provinciale del partito avrebbe comunicato la data della sfiducia, data che Gianpiero D’Alia ha previsto per il mese di giugno.

Da allora si sono verificati i soliti imprevisti prevedibili (come cantavano i 99 Posse): in primis l’operazione Matassa, a seguire dimissioni di due consiglieri, rimozione coatta di un terzo, e il previsionale votato dall’aula senza che i suoi fossero presenti (con tutte le polemiche del caso prima dopo e durante).

Ecco dunque la novità: sulla sfiducia gli scudocrociati fanno un passo indietro, ma sia chiaro, mica è un placet implicito che il partito offre all’esecutivo. Proprio no. E non è neppure archiviata la questione, solo rimandata: al 2017 insomma.

In tempo per dire alle elezioni successive “noi l’abbiamo fatto cadere”, ad un anno dalla fine naturale del mandato.

E fino ad allora? Il gruppo continuerà a non votare gli atti? Non si presenterà in aula? O tutto andrà avanti come se nient’anfuss’?

Corsi e ricorsi storici: niente di troppo diverso da quanto accadde con Lombardo, sostenuto in mille rimpasti e poi scaricato per potersi prendere il merito di un decesso governativo che sarebbe comunque arrivato da sè!

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