La democrazia che non piace ai tiranni. Questione di legittimazioni al rovescio

Governare è un termine splendido che significa guidare: chi è a capo di un popolo ne è dunque il pastore, la guida, il primo servitore, il garante. In teoria. In pratica, chi assume ruoli di primo piano istituzionale o di tutela, in Italia, giura fedeltà proprio a quel popolo che deve guidare, servire e garantire; al popolo e alle regole che esso si è dato: lo fanno i militari e lo fa il capo del Governo. Per quest’ultimo la formula è chiara e viene recitata all’atto dell’insediamento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Ed è evidente che una volta pronunciata la formuletta, gli apprendisti stregoni se ne dimenticano bellamente. A proposito della Costituzione, se c’è un tema su cui i Padri costituenti erano stati assolutamente chiari è questo: “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Chiaramente cambiare la Carta significa alterare anche il senso di questo primo e fondamentale articolo. Ma ci raccontano che si possono modificare alcuni articoli senza scalfire l’insieme e ci dobbiamo credere. Se lo dicono da Roma sarà vero, no? Sarà che chi ritiene la Costituzione un testo unitario dandone una lettura olistica si sbaglia! …Se dalla Capitale affermano il contrario…

imageGli organi del potere politico, per inciso, trovano la propria legittimazione proprio nel popolo. Ora, non ci vuole Kierkegaard per capire il senso di questo concetto basilare; non serve scomodare Cartesio o Aristotele per venire a capo della questione. La legittimazione la dà il popolo che è sovrano. Il popolo non è sovrano? L’Istituzione che non si fondi su una manifestazione di fiducia popolare allora non è legittima. Questo vale per le maggioranze costruite a tavolino, per le decisioni prese senza farne menzione pubblica e per i diktat imposti da personaggi che vengono calati da qualche alto colle. Esiste poi un modus operandi che nei secoli è parso il migliore per far sì che il popolo decidesse, senza dover chiamare in causa ogni giorno 50 e più milioni di italiani per discutere di leggi, disposizioni e manovre. C’è chi la chiama democrazia rappresentativa, chi – come me – semplicemente oligarchia o aristocrazia (Dio benedica i grandi pensatori, da Polibio in poi).

democraziaPer fare funzionare un sistema del genere però è essenziale mantenere la plebe soggiogata. Come? Facendo sì che sia e resti ignorante sia sulle materie di suo interesse che in termini di consapevolezza di se stessa –quale comunità-, confondendola circa i propri diritti e doveri, affamandola e sfruttando la logica del bisogno, nonché raccontando che ogni briciola offertale sia un favore che il potente ha gentilmente elargito. E torniamo all’origine delle cose: chi è il potente? L’Istituzione! E chi/cosa legittima l’Istituzione? Il popolo. Sono lontani ormai i tempi della polis: democrazia diretta è una parolaccia, uno spauracchio, un concetto da demonizzare oggi che la moderna tecnologia consentirebbe un ritorno a questa forma che tanto spaventa chi, in automatico, smetterebbe di accrescere il proprio potere fondato sulla necessità. Una necessità che non è solo economica ma anche di rappresentanza –se nessuno ti rappresenta nessuno ti tutela. Sempre in teoria-.

Sono molti i politologi che ritengono possibile un futuro ritorno alla democrazia vera, quella in cui è proprio il demos ad esercitare senza filtri il proprio kratos. È un po’ il principio ispiratore -almeno a parole- dei movimenti di ultima generazione, compreso il 5Stelle in Italia. Fatto sta che, proprio il popolo che, per modo di dire, viene ritenuto sovrano (pur non essendolo), non è edotto su troppi temi e, nonostante i tempi moderni, spesso non è in grado di informarsi adeguatamente né a volte gli interessa farlo. Insomma: se lasciassimo in mano ad una massa informe, eterogenea e tendenzialmente ignorante la capacità di decidere le sorti del Paese saremmo a mare. O no?

imageAll’indomani del voto degli inglesi su Brexit sta venendo fuori di tutto: da Napolitano che inneggia al governo d’élite (perché questo è), all’ex sottosegretario di Renzi che paragona i britannici sostenitori del Leave alle masse che acclamavano il Duce. La situazione si ribalta: è la politica (neanche per forza le istituzioni oltretutto) a delegittimare il popolo e la sua sovranità. Una porcheria inaccettabile sotto ogni profilo, etico, deontologico, …costituzionale!

Piace a chi ha il sedere ben comodo, su poltrone di velluto, sbandierare fantasmi e demoni per argomentare quanto errato sia lasciar scegliere alla gente che ne sarà del futuro della propria Nazione; ci stanno chiamando imbecilli e lo stanno facendo senza porsi il problema di apparire offensivi. È un valore aggiunto per certi incapaci dalla bocca larga e le mani nella pasta del potere, mantenere uno schema feudale in cui il ruolo di chi governa (lungi dall’essere quello di guida, tutela e garante) che è semplicemente di signore da servire e adulare. In un Paese normale – dotato di coscienza normale – i titoli di questi giorni, le affermazioni di certi signorotti, appollaiati sui loro comodi diritti acquisiti e intangibili privilegi, avrebbero dovuto portare la gente ad un motu d’indignazione e d’orgoglio.

Ma la realtà è che non si tratta di un problema di varie e differenti lobby: è tutto uno straordinario sistema piramidale basato sull’esclusione. Chi resta fuori è solo il popolo che, come Atlante, regge sulle proprie spalle il peso di un apparato che è una macroscopica e caleidoscopica casta della quale noi non faremo mai parte. E neppure il voto ci salverà: del resto a detronizzare un governante ci può pensare mamma Europa, senza bisogno di chiedere permesso prima di entrare a gamba tesa in affari di una casa che non sarà mai più nostra.

@EleonoraUrzìMondo

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