Migranti: a bordo dell’Aquarius, le storie dietro i numeri

di Palmira Mancuso – Sono passate le 20 quando saliamo a bordo della nave Aquarius, che è approdata a Messina dopo aver salvato 193 persone che viaggiavano su un gommone (vedi foto). Nessuno di loro si era accorto che tra gli ultimi, in fondo ai tanti corpi ammassati, in due giacevano senza vita.

Uno dei cadaveri era il fratello di un ragazzino, che proprio mentre saliva sulla nave ha scoperto di essere rimasto solo. Quel viaggio lo aveva diviso per sempre da quel pezzo di famiglia che viaggiava con lui sul gommone.

E’ stato uno dei primi a sbarcare, uno di quei “troppi” minori non accompagnati: 25.846 sbarcati nel 2016, che hanno fatto “saltare” il sistema che prevedeva di affidarli direttamente ai Comuni, e che sempre più spesso vivono le medesime condizioni degli adulti. Cioè casermoni, lunghe attese, giornate vuote in non luoghi che mettono paura. I sindaci hanno problemi a gestire la situazione. E alla Commissione europea l’Italia ha chiesto un aiuto finanziario, che Bruxelles ha stanziato per 13 milioni di euro.

La Aquarius, la nave di Medici senza Frontiere ed SoS Mediterranee, non fa parte di Frontex ma collabora con le unità impegnate, tanto che ai 193 soccorsi direttamente ne sono stati aggiunti altri 107 salvati da una nave dell’esercito, e assegnati a quella più vicina e in rotta verso un porto sicuro. Erano 109 quelli assegnati, ma appena a bordo due di loro sono stati evacuati in elicottero: uno che stava molto male e il cuginetto che era con lui.

Ottanta di loro, giunti a Messina, non hanno potuto lasciare in giornata la nave. Che ora però, appare svuotata. Nella zona riscaldata e riservata alle donne, ai bambini e ai malati, sono rimasti loro. Tutti uomini, con la stessa tuta data dai volontari, gli stessi calzettoni, gli stessi berretti di lana. Ma li puoi distinguere tutti dagli occhi. Sono quelli che ti guardano con fiducia, che ti fanno vergognare.

Parlano francese e inglese, finalmente hanno mangiato cibo vero, e il profumo di mandarini ha riempito lo stanzone dove prima si sentiva forte l’orde della pelle salata.

“Hanno ballato e cantato quando hanno capito di essere salvi”, ci racconta Tiziana Cauli, giornalista e responsabile della comunicazione per Medici Senza Frontiere.

sos_mediterranee (Copia)A bordo della Aquarius l’equipaggio è internazionale, e 9 sono i volontari di Medici Senza Frontiere che danno le prime cure in attesa che i casi più gravi raggiungano gli ospedali una volta approdati.

Regno Unito, Italia, Germania, Giappone, Tunisia, USA, Canada, Francia, Nigeria, Gambia, Guinea, Costa d’Ávorio, Niger, Mali, Senegal, Camerun, Sierra Leone, Gana, Togo, Sudan, Burkina Faso, Liberia: c’è il mondo intero a galleggiare sui numeri.

E a seguire il lavoro di MSF c’è anche una fotoreporter siriana. E’ bionda, ha gli occhi azzurri, vive in Egitto, ha due figli. E ci si rende conto che in tutti i paesi, quando scoppia una guerra, chi resta e diventa profugo è quasi sempre il più povero, quello che non ha mezzi per salvarsi se non tentare la fuga a piedi.

Quanta umanità sul mare, quanta ne resterà appena messi i piedi a terra? Quanti ragazzi dal corpo di adulto, che invece stanno pensando a quando potranno comunicare alla mamma che ce l’hanno fatta, che sono in Europa, che sono vivi.

Con Tiziana faccio un giro sul ponte. Osservo questo spazio che è un continuo riempirsi e svuotarsi di anime, le sentiamo presenti. Un ragazzo avvolto in una coperta ha voglia di parlare. Ci racconta del Gana, delle guerre tribali, della vita difficile e precaria, di sua madre che gli ha detto “vai, tu sei il più grande, provaci”. Ci scrive il suo nome su un foglio di carta, gli restituiamo i nostri. Ci cercherà dice, quando raggiungerà la Germania dove lo aspettano i parenti.

Il freddo non fa più paura. La coperta che hanno addosso è la più calda di sempre. Quella che ha acceso la speranza di essere giunti sulla terra ferma. Non abbiamo il coraggio di dirgli che molte delle loro aspettative saranno deluse, che se saranno fortunati lasceranno la nave per andare in una comunità o peggio in una ex caserma, che raggiungere i parenti in Europa sarà un altro viaggio della speranza, burocratico ma non meno angosciante.

Stamattina poco prima di mezzogiorno la nave è davvero vuota. Gli ottanta rimasti sono sbarcati. Sono quasi tutti minorenni. (foto di Tiziana Cauli)

 

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