TEKNO, la spinta alle indagini da un articolo di stampa

Non c’è associazione a delinquere o, forse, non avrebbe retto al vaglio del gip o del riesame. E così il procuratore aggiunto di Messina Ardita e il pm Stefania La Rosa invitano ad accontentarsi del peculato e della falsità ideologica commessa dal pubblicoi ufficiale in atti pubblici, di sei sospensioni dal servizio e di un sequestro di beni per 1,3 milioni.
E’ il CAS, il Consorzio Autostradale Siciliano, bellezza. 57 indagati per l’operazione TEKNO- Incentivi Progettuali e, di fatto, il seguito di otto custodiali del 2014 con più atti corruttivi tipo turbativa d’asta. Fondi pubblici distribuiti a tavolino, premi di produzione “a pioggia”: il Cas è stato utilizzato come bancomat da una cerchia di dipendenti e dirigenti compiacenti. Scorri i nomi e trovi Anna Sidoti, che è pure sindaco di Montagnareale.
Sospesa dal servizio con Antonio Lanteri, Stefano Magnisi, Angelo Puccia, Gaspare Sceusa, Alfonso Schepisi, Anna Sidoti Sindaco di Montagnareale. Ma, come ha spiegato, il capocentro DIA di Catania, Renato Panvino, il provvedimento del gip Leanza è solo per il lavoro professionale e non politico.
Complessivamente sono stati sequestrati conti correnti e beni per un milione di euro anche a Carmelo Cigno, Letterio Frisone, Carmelo Indaimo, Antonio Francesco Spitaleri, Antonino Liddino, Corrado Magro.
Letterio Frisone di fatto ha imposto un’improvvisa accelerazione alle indagini per via di una candidatura di una certa importanza dirigenziale al CAS.
La pm La Rosa l’ha letta sui media e avvisato Ardita e il procuratore capo facente funzione Vincenzo Barbaro.
I signori del CAS intascavano una percentuale del 2% che spetta per legge a chi segue appalti pubblici, pagata alla fine dei lavori. In vero, per molti progetti per cui sarebbero stati incassati i soldi i lavori non sarebbero stati conclusi o, addirittura, neppure esistiti. Il danno per il consorzio in due anni è stato stimato in oltre un milione di euro.
E il presidente del CAS Faraci ci ha messo del suo? ” Ma quando mai…”, ha replicato ai cronisti il procuratore Barbaro.
E c’è di più. I soldi dei lavori di messa in sicurezza, secondo quanto ha documentato la Dia, finivano dritti nelle tasche di alcuni dirigenti infedeli che, senza alcun progetto, incassavano premi e benefit. L’impressione è che in pentola ci sia molto ancora da scoprire. (@Gianfranco Pensavalli)

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