Il “dopo-Ciancio” per il giornalismo siciliano, nel nome di Giuseppe Fava

di Palmira Mancuso  – “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” diceva Giuseppe Fava.

In questi giorni che segnano la fine di Mario Ciancio, padre-padrone dell’editoria siciliana proprietario de La Sicilia di Catania, (ma non dimentichiamo che era tra gli azionisti della Gazzetta con il 15 per cento delle quote (controllate tramite la Messapia srl), e titolare di partecipazioni azionarie anche nel gruppo Espresso e nella Gazzetta del Mezzogiorno, uno dei principali quotidiani pugliesi) abbiamo pensato molto ad una storia che ha segnato i destini di tanti.

Giornalisti silenziati, giornalisti sempre in bilico tra il ricatto del contratto e quello di una vita di sacrifici in cui il costo della libertà era di anno in anno sempre più pesante. Fino addirittura alla morte, se non fisica sicuramente sociale.

Oggi che il grande imbroglio è ormai svelato, oggi che tutti senza grandi timori possono pubblicare a sette colonne che il tribunale di Catania ha ritenuto che l’attività imprenditoriale dell’editore si sia sviluppata “nell’interesse proprio e nell’interesse di Cosa nostra. E che in ragione di ciò il suo patrimonio si sia implementato illecitamente”. Oggi tutti noi giornalisti siciliani siamo chiamati ad un esame di coscienza.

Perchè imporre al proprio giornale di “non porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie” è un danno che la “linea editoriale” di Ciancio ha fatto alla storia del giornalismo tutto. Alla credibilità di una professione minata dal suo interno. Allo sviluppo della libera informazione non certo solo a Catania.

Pensate nel corso di questi decenni ai  giornalisti partiti incendiari, e rimasti pompieri nei meandri delle redazioni. Perchè se conosci bene il mestiere, puoi sempre scegliere quanto far salire il prezzo del tuo comodo silenzio. Perchè non tutti possono essere eroi come Giuseppe Fava.

Pensiamo a quanta spregiudicatezza nei necrologi mai pubblicati perché respinti alla famiglia di Beppe Montana, il poliziotto ucciso da Cosa nostra. E gli articoli di giornale in cui Pippo Ercolano veniva indicato come “il massimo esponente della nota famiglia sospetta di mafia”. Per quella frase il boss andrà a rimproverare il giornalista autore del pezzo, con l’editore e direttore del giornale a fare gli onori di casa.

Quarant’anni di linea editoriale di quello che è uno dei principali quotidiani del Sud Italia e  anche in questo caso non è bastato l’ordine dei giornalisti a tutelare la dignità della professione, c’è voluta la magistratura a stabilire la “pericolosità sociale” di un giornalismo cerniera tra mafia e politica.

Ciancio è un uomo, ma rappresenta un sistema: un sistema di connivenze anche istituzionali che ha consentito l’ascesa del potere di Benedetto Santapaola alla fine degli anni Settanta  grazie anche “al ruolo di canale di comunicazione svolto dallo stesso Ciancio per consentire ai vertici della predetta famiglia mafiosa di venire a contatto con esponenti anche autorevoli delle Istituzioni”.

Ma oggi il tempo e la caparbietà di magistrati non corrotti, di giornalisti che hanno sempre creduto nella giustizia, ha dato risposte. E la proposta avanzata da Claudio Fava dopo il maxi sequestro da 150 milioni di euro al signore dell’editoria del Sud Italia, appare più che condivisibile: affidare la storica testata catanese ai cronisti siciliani.

“Dopo l’arresto di Mussolini molti giornali che fino al giorno prima erano megafono del regime, vennero offerti a direttori che li trasformarono in quotidiani simbolo dell’antifascismo. Così può essere anche con il quotidiano catanese”, ha detto il presidente della commissione Antimafia all’Assemblea regionale siciliana.

Oggi proprio da Catania arriva il primo “Eccomi” da parte dei I Siciliani, la storica testata fondata da Fava, dove spiccano i nomi di Graziella Proto ma anche di Riccardo Orioles, che dopo l’assassinio di Fava il 5 gennaio 1984, quando il giornale sembra dover chiudere, assieme ad altri redattori decidono di continuare il lavoro di denuncia fino al 1985.

“Noi dei Siciliani siamo in grado, professionalmente e civilmente, di assumerci l’incarico di traghettare il giornale “La Sicilia” dal giornalismo di Ciancio a quello di Giuseppe Fava – si legge in un comunicato –  Possiamo dirlo perché:

– siamo quelli che combattono da trent’anni, fra sacrifici e dolori ma sempre correttamente e umanamente, contro il regime – non solo giornalistico – dei vari Ciancio;

– siamo quelli che hanno formato negli anni una rete estesissima di giornalisti liberi e di testate indipendenti, in tutta Italia;

– siamo quelli il cui livello professionale è attestato non solo dalle passate inchieste contro i vecchi padroni di Catania, ma da quelle recenti in cui abbiamo smascherato per primi, con precisione e indipendenza, gli affari dei vari Montante, Saguto e Ciancio.

Ci mettiamo pertanto a disposizione dei futuri amministratori del bene confiscato “La Sicilia”, e invitiamo tutti i cittadini onesti e i giornalisti amanti del loro mestiere a schierarsi con noi e a sostenere una volta ancora il lavoro dei Siciliani”.

Eccoci.

 

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