Derivati: sulla transazione con Dexia interviene l’economista Signorino, “una Caporetto a vantaggio della banca”

Sulla transazione con Dexia, approvata dal consiglio comunale, che ha deciso di chiudere la partita sul debito scaturito dai contratti sottoscritti nel 2007 da Palazzo Zanca con la banca per una riduzione del debito, che poi si sono rivelati una mannaia economica per le casse pubbliche, è intervenuto l’ex assessore Guidi Signorino, economista e docente universitario.

“L’amministrazione – ribadisce l’ex inquilino di Palazzo Zanca –  ha stretto un accordo con Dexia per chiudere la spinosa vicenda dei derivati, concepita dalla giunta Leonardi e attivata dal Ragioniere dopo l’insediamento della giunta Buzzanca-1 nel 2003 (contratto BNL), modificata dalla giunta Genovese nel 2007 (Dexia), ingarbugliata dalla giunta Buzzanca-2 nel 2011 (annullamento opportuno ma poco accorto dei contratti), consegnata con eredità di contenziosi alla giunta Accorinti come un binario morto, un muro contro cui Messina avrebbe dovuto sbattere a velocità potente e disinnescata da quella giunta con il prezioso supporto dell’esperto per le materie finanziarie e dei legali che hanno assistito la paziente e complessa costruzione di una transazione con BNL, molto vantaggioso per il Comune, nel 2016. Rimaneva in contenzioso il contratto con Dexia. Ma la transazione approvata presenta luci e ombre.

Nel merito giuridico l’accordo è certamente opportuno. Un procedimento incardinato a Londra (più ancora dopo Brexit) presenta costi, rischi e insidie importanti, che rendono complesso e difficile far valere le evidenti e indiscutibili ragioni del Comune e la nullità del contratto. E ciò non per il merito della vicenda, ma per le prassi e consuetudini che reggono il diritto britannico. Di qui l’orientamento della giunta di addivenire a transazione. Cosa non va quindi, in questo accordo? Fatti di metodo, di merito e di politica.

Nel metodo: a quanto sembra la definizione dell’accordo è stata trattata direttamente dall’amministrazione, senza l’ausilio di consulenti finanziari, col supporto delle relazioni dei legali, attestanti l’elevatissimo rischio della causa. Però la transazione ha materia finanziaria e non appare una specifica valutazione tecnica in proposito (nessuna relazione finanziaria è citata in delibera). È un’imprudenza aver trattato da politici puri con una controparte ovviamente molto attrezzata su quel piano.

Ne conseguono i problemi di merito.

1)      Le elevate cifre citate in delibera sono poste in questione da chi conosce la materia e i contratti, secondo cui il rischio massimo diretto della causa è non 35, ma circa 13 milioni, più le spese legali.

2)      La delibera non riferisce cosa accadrebbe in caso di vittoria dell’Ente, con annullamento del contratto (il Comune otterrebbe oltre 5 milioni in restituzione di quanto indebitamente versato alla banca, più il risarcimento del danno: svariati milioni non incassati “grazie” a consulenza e contratto di Dexia).

3)      Mancando questo, non si ha il “valore della causa” (media tra guadagno in caso di vittoria e perdita in caso di sconfitta, ponderata per le rispettive probabilità). La perdita secca della transazione non può dunque essere confrontata col valore della causa, che avrebbe potuto essere preso a base per la trattativa per raggiungere magari un accordo molto meno oneroso.

4)      Con questo accordo la banca recupera tutto il danaro che aveva speso per “entrare” nell’affare con un contratto-burla. Grazie ad esso il Comune avrà versato in totale circa 13 milioni a Dexia, la quale per ottenere da BNL parte dei contratti precedenti aveva pagato alla stessa circa 12 milioni nel 2007.

5)      I 9 milioni che il Comune si impegna a versare dovranno essere corrisposti entro un anno, quando il contratto sarebbe durato fino al 2036; anche a parità di cifra, mantenere quella scadenza avrebbe alleggerito di molto gli esborsi annuali del Comune.

6)      C’è una differenza sostanziale tra l’accordo raggiunto nel 2016 con BNL e quello attuale con Dexia. Nel primo caso il Comune restituiva alla banca in comode rate entro il 2036 meno di quanto ricevuto dalla stessa (circa 4 milioni): l’accordo portava al Comune condizioni migliori rispetto al puro annullamento dei contratti. Nel caso di Dexia, al contrario, il Comune (che aveva già pagato oltre 4 milioni) con l’annullamento dei contratti avrebbe ricevuto indietro la somma più rivalutazioni e interessi (oltre il danno dei mancati guadagni). Invece, oltre a quanto già versato, il Comune continua a pagare circa 9 milioni, per giunta nel breve termine di un anno.

Poi c’è il piano politico. La fretta-capestro con cui l’atto è stato portato in Consiglio dimostra che il Comune si è messo in una sbagliata posizione di subalternità: è inaccettabile che una banca prenda per il collo una grande città imponendo condizioni sbilanciate a suo favore e tempi immediati non solo di esecuzione, ma anche di approvazione degli atti; chi l’ha rappresentata non ha saputo tutelarne appieno gli interessi. Possibile che non si sia saputo dire alla banca che il Consiglio ha tutto il diritto a un tempo congruo per studiare, approfondire, valutare? O è lo stesso sindaco a ritenere che il Consiglio non abbia questo diritto? Il sindaco poi continua a parlare di cifre sulle quali è lecito avere seri dubbi. La differenza fra l’accordo e una soccombenza senza accordo potrebbe essere infatti non superiore ai 4-5 milioni. Se questa cifra è giusta (e ci vorrebbe una stretta perizia tecnico-finanziaria) appare spropositato dire che senza l’accordo sarebbe saltato un piano di riequilibrio che ha durata residua di 15 anni, mentre con l’accordo Messina esce dal riequilibrio in un anno.

Insomma, sia nella sostanza che nei tempi e nella forma (viene anche imposto di riconoscere la piena validità di contratti iniqui), sotto il profilo finanziario l’accordo negoziato con Dexia dall’amministrazione sembra una Caporetto a vantaggio della banca, mentre quello definito con BNL era di chiaro vantaggio per il Comune. Come detto: con questo accordo Dexia recupera tutto (con un po’ di interessi), mentre a rimetterci almeno 13 milioni sono i cittadini messinesi, in omaggio a contratti che dovrebbero essere invece considerati nulli.

Stanti le condizioni del giudizio, l’accordo è via maestra. Si sarebbe, però, potuto fare di meglio? Non c’è controprova, ma è difficile pensare il contrario, perfino a parità di importo”.

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