Al via il maxiprocesso sulla Mafia dei Nebrodi: Antoci, “voglio guardarli negli occhi uno a uno”

E’ iniziato stamane, intorno alle 10.45, nell’aula bunker del carcere di Gazzi, a Messina, il ‘maxiprocesso Nebrodi’, scaturito dall’operazione condotta dalla Direzione distrettuale antimafia che ha scoperchiato il sistema delle truffe all’Agea su cui ruotavano gli interessi dei clan mafiosi tortoriciani. In 97 alla sbarra in questo procedimento poderoso e storico. Il collegio dei giudici e’ composto da Ugo Scavuzzo presidente, Andrea La Spada ed Eleonora Vona.

Le udienze si svolgono nell’aula bunker di Messina per il gran numero di parti. A rappresentare l’accusa il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e i sostituti procuratori Fabrizio Monaco i magistrati che hanno curato l’inchiesta. Tra i presenti, tra politici e associazioni, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.

Il blitz di carabinieri e Guardia di finanza e’ scattato a gennaio 2020 con 94 arresti, 48 in carcere e 46 ai domiciliari per, vario titolo associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio , uso di sigilli e strumenti contraffatti, falso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata. Lo scorso dicembre, a conclusione dell’udienza preliminare in 97 sono stati rinviati a giudizio.

Per altri 18 il gup ha stralciato la posizione e rinviato gli atti a Catania dichiarando incompetenza per territorio di Messina. Nel frattempo hanno patteggiato la pena in quattro mentre altri 8 stanno procedendo con l’abbreviato che e’ ancora in corso.

Le indagini hanno ricostruito da un lato il nuovo assetto del clan dei Batanesi operante nella zona di Tortorici, dall’altro si sono invece concentrate sulla costola del clan dei Bontempo Scavo. E’ emersa , come contesta l’accusa, un’associazione mafiosa molto attiva, capace di rapportarsi, nel corso di riunioni tra affiliati, con organizzazioni mafiose di Catania, Enna, e il mandamento delle Madonne di cosa nostra palermitana.

L’inchiesta ha scoperto che l’interesse principale era di ottenere contributi comunitari concessi dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura. In particolare, gli investigatori hanno accertato, a partire dal 2013, la percezione di erogazioni pubbliche per oltre 10 milioni di euro. Tutto questo era stato possibile attraverso colletti bianchi che sono stati identificati in ex collaboratori dell’Agea, un notaio, numerosi responsabili dei centri Caa, i centri di assistenza agricola che avevano le conoscenze dei meccanismi di erogazione di spesa pubblica, e dei limiti del sistema dei controlli.

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