Per il Tar Sicilia Patrimonio Spa non può essere liquidata, ci spiega perché l’avv. Santi Delia

di Michele Bruno – Nulla di fatto. La Patrimonio Spa, società partecipata comunale che era stata istituita durante l’Amministrazione De Luca per gestire le proprietà e gli immobili comunali ed eventualmente alienare e dismettere parte di essi, tornerà ad esistere.

La messa in liquidazione decretata dal Consiglio Comunale viene annullata da una sentenza pubblicata ieri del Tar di Sicilia.

«Con sentenza n. 964/2022 pubblicata oggi 4 aprile 2022, il Tar Sicilia ha integralmente
accolto il ricorso proposto dalla Patrimonio Messina Spa contro la delibera con la quale il
Consiglio Comunale di Messina aveva deliberato la messa in liquidazione della predetta
società. La sentenza ha accolto i motivi proposti dal legale della società, Avv. Santi Delia,
per l’accertato difetto di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti impugnati.
Nel dettaglio il Tar ha riconosciuto che la scelta del Comune di porre in liquidazione la
Patrimonio Spa “avrebbe dovuto essere esternata con motivazione da inserire nella
relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (art. 20
comma 2 lett. b) e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla” rilevando che
nelle delibere impugnate mancava ogni conseguente istruttoria e motivazione
determinando l’annullamento degli atti.

La sentenza risulta tranciante laddove afferma che “la motivazione che sorregge la
contestata determinazione finale non è stata esternata né nella relazione tecnica, né, in
ogni caso, nell’emendamento”.

Il Tar ha altresì ritenuto errate le motivazioni adottate dal Consiglio comunale in merito
alla pretesa assenza di personale dipendente evidenziando e chiarendo che nel caso in
questione la società risulta avere avuto in carica “personale in servizio in regime di distacco
fino al 30 giugno 2021, cinque dipendenti comunali e quattro dipendenti della società
Messina Servizi Bene Comune SPA, per complessive nove unità”; al momento dell’adozione
della deliberazione in contestazione “risultano distaccate due unità del Comune e quattro

unità della società Messina Servizi Bene Comune SPA”, con costo del personale in
questione a carico della Società Patrimonio che rimborsa al Comune di Messina gli oneri
retributivi e previdenziali corrisposti ai dipendenti.

“Ne consegue che, come correttamente ritenuto dalla ricorrente, il Comune avrebbe
dovuto considerare anche il personale in distacco o comando in servizio presso la società,
ma, in ragione dell’assenza di motivazione, non è possibile verificare se il detto
emendamento l’abbia considerato ai fini del computo”.

In sostanza, nel rinviare alla lettura integrale della sentenza, si prende atto che i giudici
amministrativi non hanno potuto che disporre l’annullamento degli atti adottati dal
Consiglio comunale per l’accertato difetto di istruttoria e di motivazione.
Si esprime soddisfazione per la definizione giudiziale della vicenda che dimostra ancora
una volta la correttezza dell’azione amministrativa portata avanti dalla Giunta De Luca ed
avversata da una parte del Consiglio Comunale, che oggi non può che riconoscere la
strumentalità della deliberazione e la sua assoluta infondatezza».

E’ quanto afferma Roberto Cicala, Presidente della partecipata.

Abbiamo chiesto all’avv. Santi Delia, difensore in Tribunale dei ricorrenti, di spiegarci la vicenda. Innanzitutto se questa sentenza indichi un vizio di forma sull’atto votato dal Consiglio.

«Se per vizio di forma si vuol dare un taglio alla vicenda esclusivamente burocratico non credo sia la parola giusta. E’ il Testo unico che impone delle forme a garanzia di tutta una serie di interessi ben bilanciati dallo stesso Legislatore in tale complesso ambito – ha spiegato Delia – Tale bilanciamento di interesse, tra l’altro, tiene conto del fatto che lo stesso Consiglio Comunale aveva a suo tempo approvato gli investimenti economici che sono stati fatti per mettere in condizione la partecipata di nascere ed operare. Il Consiglio, con la delibera ora annullata, si era limitato a motivare la propria scelta valorizzando il fatto che il numero dei dipendenti fosse inferiore a quello degli amministratori, avvalendosi dell’art.20, co. 2 lett. b) D.lgs. n. 175/2016. La Legge, come spiegato in ricorso e, invero, già prima della fase giudiziale nell’ambito di un parere che avevo elaborato, indica questo requisito, come altri, al fine di individuare degli indizi che possano far pensare al fatto che società pubbliche siano infruttuose e come tali da liquidare o razionalizzare. La giurisprudenza della Corte dei Conti, fatta propria dal Tar, tuttavia aveva già chiarito che non solo tale requisito non trova applicazione in concreto essendovi diversi dipendenti comunali distaccati nella partecipata, ma che pur così fosse è onere dell’Amministrazione esternare in apposita relazione tecnica le motivazioni che chiariscano che gli investimenti fatti siano stati infruttuosi o per qualche motivo non siano più utili. Il mio è un ruolo tecnico, non entro nelle beghe politiche, e da tecnico non posso che riconoscere che l’intento del Legislatore è di ponderare adeguatamente tali scelte considerando anche le spese che si sono affrontate, e che anche esse ricadono sui contribuenti».

Ma non si poteva evitare questa causa?

«Certamente si. Devo dire che era l’obiettivo che mi ero posto allorquando mi era stato chiesto di rassegnare parere sulla legittimità della deliberazione adottata. In quella sede ho suggerito alla Società di sollecitare il Consiglio a riesaminare la propria posizione alla luce del parere e della giurisprudenza senza che tuttavia ciò ha avuto l’esito sperato».

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