Di Bella a Messina: il giudice che salva i giovani dalla mafia

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Da sinistra a destra: S. E. R. Mons. Cesare Di Pietro, Dott. Roberto Di Bella e Dott. Alberto Randazzo.

di Veronica Pagano – Non si ferma l’impegno per la legalità di Azione Cattolica, la storica associazione fondata nel 1867. Ieri, venerdì 20 maggio, nel pittoresco chiostro del Palazzo Arcivescovile si è tenuto un partecipatissimo incontro per “Ricordare Capaci… 30 anni dopo”. 

Alla Giornata della Legalità organizzata – sin dall’anno successivo alla strage di Capaci – dall’Azione Cattolica diocesana, guidata dal Dott. Alberto Randazzo, sono intervenuti: il Vescovo Ausiliare della Diocesi di Messina Mons. Cesare Di Pietro e il Dott. Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i Minori prima a Reggio Calabria oggi a Catania e promotore del progetto “Liberi di Scegliere”, grazie al quale un centinaio di minorenni sono stati allontanati dalle famiglie della ‘ndrangheta calabrese.

Di Bella: Liberi di Scegliere? Un istinto di sopravvivenza

Dopo i saluti e l’introduzione del Dott. Randazzo, Mons. Di Pietro ha ricordato l’importanza di “rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, andando “oltre ogni pregiudizio verso chi ha solo avuto minori possibilità”.

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Mons. Cesare Di Pietro: “Provenienza non sia motivo pregiudiziale”.

Garantire ai nostri giovani la libertà di scegliere, senza condizionamenti e pressioni”. Nelle parole di Randazzo c’è riassunto tutto il senso di “Liberi di Scegliere”, frutto dell’incessante e appassionato lavoro del giudice Di Bella, che ha saputo mettere in pratica un concetto tanto semplice, quanto conosciuto ai più: la mafia si combatte con la libertà.

E così, nel 2012, dopo aver giudicato “prima i padri e poi i figli, tutti con lo stesso cognome, tutti appartenenti ai clan del territorio”, ha capito che doveva fare di più per salvare quei giovani da una vita criminale e offrire loro la possibilità di affrancarsi dalla cultura mafiosa, una cultura che “respirano sin dalle prime fasce“.

“È stato un istinto di sopravvivenza, professionale e non solo – ha ricordato Di Bella – ho giudicato migliaia di ragazzi, anche per omicidio, traffico di stupefacenti ed estorsioni fatte per conto dei genitori detenuti. Ho giudicato minorenni coinvolti in vere e proprie faide sanguinose – continua – ho riconosciuto il perdono giudiziale a quelli coinvolti in reati minori, per poi giudicarli 2 anni dopo per reati più gravi o apprendere la notizia della loro morte“.

In 25 anni di onorato servizio, sono molte le storie e le vicende giudiziarie che Di Bella ha dovuto affrontare… come quelle di giovani coinvolti nel tentato omicidio delle proprie madri, colpevoli di aver avuto delle relazioni extraconiugali durante la detenzione dei rispettivi mariti. Una violazione del “codice d’onore” ritenuta troppo grave per restare impunita.

Un progetto nato a Messina

Grazie all’aiuto di assistenti sociali e psicologi, anche dell’Ufficio di servizio sociale di Messina (USSM), tra cui ha ricordato il prezioso contributo della Dott.ssa Maria Palella, Direttrice USSM, e della Dott.ssa Maria Baronello, Di Bella ha potuto comprendere “l’esistenza di una condizione di grande sofferenza“.

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Dott.ssa Maria Baronello sull’importanza della “condivisione dei saperi”.

Ha quindi capito che bisognava intervenire per tutelare i ragazzi dal rischio concreto di un pregiudizio, adottando i provvedimenti (di rito civile) della decadenza dalla potestà genitoriale e di allontanamento in case famiglia, per proteggerli da possibili ritorsioni e permettere loro di “sperimentare orizzonti culturali, sociali e famigliari alternativi”.

Ed è proprio qui a Messina che, nel 2012, nasce il progetto “Liberi di Scegliere”: il primo ragazzo, figlio di un potente boss calabrese, è stato mandato proprio nella nostra città.

Di Bella: contro di me pesanti accuse, anche dalla Chiesa

Oggi, trascorsi 10 anni dalla prima esperienza del progetto, “Liberi di Scegliere” è un Protocollo governativo valido sull’intero territorio nazionale e apprezzato anche all’estero. Grazie all’associazione Libera e ai molti professionisti coinvolti (avvocati, psicologi, assistenti sociali e mondo della scuola), oggi il progetto vanta una rete nazionale di accoglienza che offre una casa, un lavoro e una rete relazionale.

Tuttavia, non è sempre stato così. Di Bella è stato destinatario di pesanti accuse, non solo dall’ambiente giudiziario, ma anche dalla stampa e dalla Chiesa: “siamo stati accusati di fare confische di figli e deportazione di minori“.
Con il tempo non solo le madri hanno iniziato a sostenerlo direttamente, in taluni casi anche collaborando con la giustizia, ma anche la Chiesa ha riconosciuto la bontà del progetto tanto da divenire la Conferenza Episcopale Italiana il maggior finanziatore.

A fine luglio 2023, scadrà il Protocollo. L’auspicio del Presidente Di Bella, che oggi prosegue la sua opera a  Catania, è che si dia una cornice normativa dando continuità al progetto in maniera più concreta ed efficace: “la questione minorile è alla genesi del fenomeno mafioso – dichiara – una seria strategia di contrasto deve guardare anche a questa”.

Di Bella: serve di più, la Chiesa parli alle famiglie mafiose

A conclusione del suo intervento, Di Bella non ha mancato di rivolgere alla Chiesa, rappresentata dal Vescovo Ausiliare Mons. Di Pietro, una serie di suggerimenti esortandola non solo ad aprire più oratori, ma soprattutto a “parlare in maniera diretta alle famiglie mafiose“.

Un invito accolto a piene mani da Mons. Di Pietro, intervenuto ai nostri microfoni:

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