Basile sindaco “cavia”: il consenso è solo questione di calcolo?

C’è un dato che va oltre ogni analisi di queste amministrative 2022: la politica, intesa come come iniziativa, visione, servizi per i cittadini ha lasciato (speriamo non definitivamente) Palazzo Zanca. Come se amministrare un Comune, partendo dal sindaco per finire al consigliere comunale, sia solo una questione di calcolo. È quello che è accaduto a Messina, usata nelle sue più alte istituzioni, come trampolino di lancio, o peggio “laboratorio” non certo politico ma strategico elettorale. Sentire candidamente Cateno De Luca parlare del neosindaco Basile come di una “cavia” per sperimentare il suo elaborato sistema diremmo “matematico” per vincere le elezioni è piuttosto umiliante per l’intelligenza politica collettiva. Il vero problema è che alla luce dei fatti, chi ha sposato questa strategia candidandosi come “vittima sacrificale” sull’altare dell’ego deluchiano, pensa che l’umiliazione riguardi gli avversari politici (ahinoi ormai definiti nemici) e non la democrazia di cui ad ogni elezione perdiamo un pezzetto. Adesso che i messinesi sanno di avere un “sindaco cavia”, cosa pensano di trovare in consiglio comunale? A vincere le elezioni è stata la strategia, non la politica: e la coalizione di centro sinistra ha perso per il semplice motivo che non si poteva partire dai numeri, che a Messina non hanno mai premiato quella parte, ma dalla Politica: bisognava convincere a quella metà dell’elettorato che non è andato a votare perché non era “incastrato” in qualche “lista di testimonianza” epperò non ha visto quell’alternativa alla guida della città che lo ha convinto. Aggiungiamo qualche migliaio di elettori a cui il Comune non ha notificato il cambio di sezione (e su questo ci auguriamo si faccia chiarezza) e la difficoltà per il numero delle schede, ed il dato è tratto. Se la legge elettorale siciliana consente certe spregiudicatezze, il prossimo obiettivo politico del centro sinistra dovrebbe proprio essere quello di cambiarla, mostrando le falle che un “creativo dei numeri” come Cateno De Luca ha studiato per poterne trarre vantaggio. E non lasciando alla politica alcun margine: persino a Salvini ha sottolineato (umiliando Germana’ che evidentemente ha accettato a monte di essere anche lui una pedina) che la lista Prima l’Italia senza i suoi “raccogli voti” della Fenapi (vedi Cantello) non avrebbe raggiunto il 5%. È chiaro che se per gli elettori l’unico motivo che resta per andare a votare è vincere o perdere, abbattere nemici o salvare amici, il problema è ben più grave dell’ aver consentito il sacco elettorale al potente di turno. De Luca coniuga potere economico, spregiudicatezza e organizzazione territoriale. Dalle sezioni del partito agli sportelli Caf è stato un batter di ciglia. E non è colpa di De Luca.a”: il consenso è solo questione di calcolo?*  Leonardo Lauriana

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