“Storie di Liolà” e il teatro è libertà per i detenuti di Gazzi: a Tindari una notte memorabile

di Palmira Mancuso – “Ciao Papàààà”: accese le luci sul Teatro Antico di Tindari quella vocina felice ha riportato tutta la cavea alla realtà. La bambina dai gradini salutava orgogliosa il suò papà attore, quel papà che al carcere di Gazzi sta usando il tempo della detenzione come un tempo di ricerca interiore, di analisi, un tempo in cui il teatro, grazie al progetto di Daniela Ursino con l’Associazione Culturale D’aRteventi, è quello “spazio di libertà” che si è tradotto in una straordinaria messa in scena.

I detenuti – attori della Libera Compagnia del Teatro per Sognare della Casa Circondariale di Messina hanno dato vita ad uno spettacolo frizzante e ricco di musica, con un adattamento scenico speciale che il poliedrico artista siciliano Mario Incudine ha realizzato per il “Tindari Festival” parole e danza, esaltando la nostra Sicilia con intonazioni dialettali che hanno fatto emergere tutta la grandezza di un autore come Pirandello, le sue metafore sul tempo, sulla vita, sul rapporto tra ciò che appare e ciò che è reale.

Lo spettacolo “Storie da Liolà” è indiscutibilmente dall’alto valore sociale, tanto da aver ricevuto il Patrocinio del Ministero della Giustizia e della Camera dei Deputati. E ieri un protocollo di intesa tra Comune di Patti, Caritas di Messina con D’aRteventi, la Casa Circondariale di Messina ed Unime per dare un futuro al progetto “Tindari a Cielo Aperto – uno spazio di libertà” ideato da Tindaro Granata e la stessa Ursino, ha sancito il sostegno delle istituzioni alla consolidata collaborazione con il Direttore della Casa Circondariale di Messina Angela Sciavicco, la Polizia Penitenziaria, gli Educatori, in particolare Letizia Vezzozi capo area trattamentale, il Tribunale di Sorveglianza e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria grazie a cui è stato possibile realizzare uno spettacolo degno di palchi importanti.

Oltre 50 gli artisti presenti in scena, tra professionisti, musicisti, le studentesse, il corpo di ballo. E dal circuito dell’alta sicurezza anche “le voci” delle detenute a fare da sfondo a quel “paese” quella “comunità” fatta di ironia e “cuttigghiu”, solidarietà, umanità varia.

Ed infine il monologo conclusivo, dalla simbologia chiara: quella gabbia che finalmente si apre, lasciando volare il nostro essere, spesso impriogionato dalle paure, dai risentimenti, dal pregiudizio (foto in apertura di Rocco Papandrea).

Lo spettacolo si è chiuso con un colpo di scena dai risvolti involontariamente comici, per il perfetto tempismo con cui l’Arcivescovo Accolla ha benedetto i presenti appena dopo l’uscita stizzita di Giampiero Cicciò, actor coach insieme ad Antonio Previti, travolto da una  passione che non è riuscito a tenere sotto controllo, lasciando a più di qualcuno l’amaro in bocca.

 

 

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