WOODY ALLEN COMMEDIOGRAFO AMARO NE “LA LAMPADINA GALLEGGIANTE” AL VITTORIO EMANUELE

 

Conosciamo tutti Woody Allen come regista cinematografico sempre originale e caustico e come attore brillante, comico e impegnato nello stesso tempo. Ma l’artista statunitense ha anche al suo attivo un’intensa attività di commediografo, messo in scena in tutto il mondo. E proprio una commedia di Allen, “La lampadina galleggiante”, sarà in scena dal 15 al 19 febbraio nel teatro Vittorio Emanuele. Nel cast Mariangela D’Abbraccio (che ha sostituito Giuliana De Sio, bloccata per il momento da un intervento chirurgico), affiancata da Fulvio Falzarano (volto noto dei film “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al Nord”), Mimmo Mancini, Barbara Giordano, Emanuele Sgroi e Luca Buccarello. Scene di Andrea Taddei, costumi di Silvia Polidori, produzione “Teatro della città”.

 

“La lampadina galleggiante” è una favola postmoderna, semplicissima e illuminante al tempo stesso, delicata e divertente, pervasa di un umorismo sottile e intelligente, degno del miglior Woody Allen. La storia è ambientata in una degradata periferia di New York nel 1945 e racconta le vicende di una stravagante famiglia in piena crisi esistenziale. Il padre sogna di vincere alla lotteria e scappare con la sua amichetta, una cameriera di un locale di quart’ordine, ma è assalito dagli strozzini; la madre da ragazzina voleva fare la ballerina ed ora progetta di vendere fiammiferi personalizzati per corrispondenza, anche se le sue frustrate ambizioni di successo si riversano sul figlio ‘artista’. Dei due figli , uno appicca gli incendi, l’altro vorrebbe fare il prestigiatore ma è letteralmente terrorizzato dal pubblico e continua a balbettare. Infine c’è un manager il cui migliore cliente è un cane che canta.

Dall’incontro tra madre con ambizioni artistiche e manager fallito si sviluppa il nodo drammatico del testo. Dalla penosa esibizione del figlio ‘mago’ davanti al finto impresario si passa al desolante rivelarsi di solitudini che sono destinate a non incontrarsi mai, e ogni illusione si infrange nel progressivo delinearsi di tante identità fallite e destinate a rimanere tali. In un’atmosfera hopperiana la critica dell’autore al “sogno americano” si fa progressivamente più feroce anche se condotta in chiave quasi metafisica, come se i suoi personaggi fossero sospesi in un’aria malsana, quella stessa aria, o per meglio dire, quegli stessi effluvi di insalubri caseggiati e di incombenti fabbriche di prodotti, simbolo del benessere americano.

L’opera di Allen è intrisa di sfumature oniriche ed è chiaramente inverosimile, eppure è presentata con una naturalezza quasi disarmante che la rende plausibile. È un’opera che conquista ed emoziona, catturando il pubblico con la magia e la poeticità dei suoi dialoghi e dei suoi personaggi, che difficilmente si dimenticano. Il simbolismo celato dietro le vicende narrate ed il suo significato sono palesi e comprensibili, e forse proprio per questa sua immediatezza il testo riesce a colpire. Per chi conosce Allen e la sua comicità, la sorpresa è notevole: qui è tutto diverso, più intimista e solitario, l’ironia è leggera, amara, sconsolata; i personaggi inseguono qualcosa che non trovano mai, ed i loro sogni svaniscono in uno straziante senso di impotenza.

 

TEATRO VITTORIO EMANUELE

Mercoledì 15,  venerdì 17 e sabato 18 febbraio ore 21.00; giovedì 16 e domenica 19 febbraio ore 17.30

Prezzi: platea 30 euro (ridotto 23), prima galleria 20 euro (15), seconda galleria 8 euro (5)

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