TAOFILMFEST: LA (RI)SCOPERTA DELLA COMMEDIA E L’INNO ALLA LETTERATURA, TRA QUALCHE EQUIVOCO E CONTESTAZIONE…

 

Dopo un inizio stentato, con un ritardo nella pubblicazione del programma e molti problemi tecnici, giunge al primo giorno l’avventura del 58esimo Taormina Film Festival, storico evento dedicato alle varie forme del cinema. Perché la città di Taormina ha sempre avuto, come tutta la Sicilia, una forte attrattiva per i registi, non solo per i bei luoghi dalle scenografie mozzafiato ma anche per l’ospitalità della sua gente. Ed i siciliani ancora una volta non si sono, seppur con qualche brutto ed imbarazzante equivoco, smentiti.

Ben 3000 spettatori nel Teatro Antico per la visione 3D di “The Brave” ed ogni giorno sono tanti i partecipanti ai campus tenuti nel Palacultura per conoscere meglio gli ospiti di questa rassegna. Dopo la serata inaugurale a Messina si è aperta la sezione taorminese con un cortometraggio frutto del laboratorio di cinema e scrittura di un liceo locale, con dei bravi protagonisti ed una buona opera di ripresa volutamente incentrata sui primi piani. A seguire, l’incontro coi coniugi Castellitto i quali hanno parlato della possibilità di gestire vita privata e vita lavorativa completandosi l’un l’altro, spesso recitando lui le opere scritte dalla moglie e/o intavolate con lei. Un applauso è scaturito dalla dichiarazione dell’attore di un proprio ritorno in TV  col nuovo film “Intreatment”.

Serio, nonostante le battute, il confronto col pubblico, soprattutto nel momento della discussione del rapporto tra Cinema e Letteratura, un rapporto che, denuncia amareggiato Castellitto “in Italia, al contrario di altri paesi soprattutto anglosassoni, sono due realtà che si trattano come estranei se non come antagonisti”. L’idea dell’attore come della moglie è che nel nostro paese sembra più difficile mettere in scena sul grande schermo opere letterarie, anche contemporanee, che invece potrebbero costituire una risorsa importante per il rilancio della lettura nel paese che legge meno in Europa. E l’operato dei due coniugi è una sorta di eccezione che potrebbe restare tale a meno di un auspicato cambio di rotta.

 “Un romanzo può essere e spesso è un’opera d’arte; un film su esso spesso è e può essere un’opera d’arte; tra queste due realtà si deve porre la sceneggiatura, come un ponte capace di tramutare le parole in immagini facendo di esse rappresentazioni fedeli delle emozioni e dei sensi incastonati tra le parole del testo.” “La trama – continua Sergio Castellitto – è il fondamento del film e proprio non capisco perché in Italia non si riesca con facilità a trasporre un buon libro in pellicola.” Dopo i Castellitto la parola è passata a Michele Placido che in Sicilia ha girato la serie di successo “la Piovra”.

Anche lui ha parlato del piacere di fare cinema unito però a quello del calcare le scene del teatro, avendo ultimamente sperimentato a Roma la rappresentazione del King Lear shakesperiano. Punto di aggancio tra le due interviste è un tema importante sia per i cultori che per gli organizzatori di questa rassegna che ad esso hanno dedicato una sezione privilegiata: la Commedia. E finalmente si è potuto ascoltare, fuori dalle aule delle facoltà di lettere come delle accademie specifiche, il reale significato della parola “Commedia” che, scelta dallo stesso Dante per un’opera tutt’altro che comica, nell’ambiente cinematografico ha negli ultimi decenni perso la propria originale accezione a favore di un‘idea oltreoceanica di “divertente”. Il termine invece è riconducibile a un’opera, prima teatrale, poi letteraria ed infine cinematografica, nella quale si mescolano più toni, dall’aulico al popolare, in un misto sì di comico ma anche di amaro e/o volgare.

La commedia all’Italiana di Sordi, Totò e molti altri è stata per anni proprio questo: la proiezione di storie di personaggi liminali, spesso cioè esclusi dalla società o con gravi problematiche e destini per nulla felici e realizzati, seppur capaci di strappare sorrisi e risate con le proprie disavventure. Rimaneva, dopo la risata, un’amarezza latente che in opere come “Un americano a Roma” è ben riconoscibile e che non ha nulla a che fare con i moderni Cinepanettoni o le produzioni del tutto comiche degli USA. Castellitto lo ricorda e così anche Placido che, rammentando anche le critiche che quel genere ha mosso da parte di alcuni attori e registi successivi (Moretti ad esempio), per l’accusa di aver dato tramite essi un’immagine dell’italiano medio mediocre e fallimentare o caciarone, ha ricordato il valore di quelle opere che, altro punto importante, erano realizzate con pochi fondi. E Placido inizia un discorso sulla difficile esperienza dei giovani nel cinema, settore nel quale non riescono a trovare spazio perché spesso i produttori non permettono loro di esprimersi ache per quanto detto da Moretti anni fa: “il produttore vive nella paura che un regista gli porti un buon film”.

Investire sui giovani è l’invito che invece fa Placido agli addetti al settore, auspicando nel caso un mecenatismo degli stessi attori e registi di successo. Una provocazione che gli ha portato le simpatie di alcuni attori e registi in erba presenti in sala, prima che un ospite inglese parlante buon italiano prendesse il microfono dicendo di vedere nella politica italiana, soprattutto in Berlusconi, una somiglianza con le atmosfere ed il personaggio di Re Lear. Insieme a qualche risata e qualche faccia perplessa è giunta, con sorprendente calma, la risposta di un Placido che ha riso a sua volta: “Bisogna ricordare che Re Lear alla fine si pente di ciò che ha fatto. E’ un politico che improvvisamente diventa uomo perché comprende i propri errori e viene assalito dal rimorso. I politici attuali, italiani ma non solo, invece mi sembrano ancora dei “non uomini”. Sbagliano e non ne comprendono o vogliono comprendere le conseguenze. La cosa che manca ai politici d’oggi è proprio l’incapacità di essere o di restare uomini, perché anche coloro che vi entrano da tali vengono poi risucchiati dal contesto  che trovano.”

Anche l’intervista campus con Michele Placido ha lasciato una piacevole traccia in chi ha potuto ascoltarla e con imbarazzo si è poi assistito, nel teatro antico, alla sfuriata contro gli spettatori causata da una effettivamente poco garbata protesta, inizialmente di bambini e poi di genitori con gli stessi modi dei figli, dovuta non al documentario di presentazione del “Cecchino”, in quel momento in onda, ma, e qui purtroppo l’equivoco, da un ritardo di quasi un’ora sulla proiezione dell’attesissimo “The Brave”.

Qualche bambino ha cominciato a protestare, qualche genitore si è aggiunto, e l’attore ha compreso il tutto come una critica al proprio film reagendo chiedendo del “cafone che fischia” chiamandolo sul palco per un confronto. Come spesso succede la platea prende un insulto specifico per una critica generale e la serata di apertura si è chiusa tra le contestazioni, zittite dall’inizio affrettato del film che attendevano i bambini presenti e che è piaciuto anche agli adulti, calmando i toni in una meravigliosa notte stellata. (CARMEN MERLINO)

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it