OPG DI BARCELLONA: VERSO LA CHIUSURA PER UNA RICONVERSIONE, ENTRO IL PROSSIMO MARZO

 

Lunga e piena di dettagli la conferenza stampa tenuta il 7 agosto, all’Istituto Madia. Un incontro voluto dal direttore della struttura, Nunziante Rosania e dal responsabile dell’area sanitaria Antonino Levita per parlare della situazione attuale del centro e del suo futuro. Un futuro sul quale si è anche favoleggiato a volte, tanto che solo oggi parliamo su questa testata della notizia, confermata, della chiusura dell’OPG.

Una chiusura che però non sarà un evento strutturale ma puramente amministrativo: il carcere giudiziario diventerà, con un procedimento transitorio complesso, un carcere tout court per un’utenza di medio-bassa pericolosità.

La decisione è la conseguenza di un provvedimento suggerito dalle recenti inchieste sull’effettiva efficienza e vivibilità degli istituti interessati dalla reclusione di individui con patologie mentali e la scoperta di un ambiente per nulla in grado di rispondere veramente alle differenti esigenze di quelli che prima che carcerati avrebbero dovuto essere e sono pazienti.

Pazienti cui invece, come detto dal direttore Rosania, spettava e spetta un’assistenza psicologica di sole 10 ore mensili cumulate dagli incarichi dei due professionisti adibiti (5 ore a testa) al dialogo coi detenuti. Di qui la manifestazione di un accoglimento parzialmente benvoluto del provvedimento che permetterà all’istituto ed alle poche guardie carcerarie attualmente in organico di non dover gestire richieste cui non sanno rispondere, come fornire medicine ai pazienti anche per quel semplice mal di testa che comunque fa paura nel momento in cui non si è in grado di studiare le conseguenze di un’interazione chimica tra quella semplice aspirina ed un farmaco dato dai medici che ne curano le patologie. Medici che per lo stesso ordinamento carcerario hanno problemi a trovarsi in sede 24 ore su 24.

Però non si può fare a meno di pensare che si deve curare il più possibile questo delicato passaggio migliorando la situazione dei detenuti, e proprio questo è stato lo scopo dell‘incontro: manifestare l‘inizio di tale difficile impegno con un Protocollo d‘Intesa siglato con più enti, primo tra tutti il Comune e la Comunità di Barcellona P.G.

Protocollo che quindi vede citati in caratteri cubitali il Ministero della Giustizia (negli enti del Provveditorato Regionale Amm. Penitenziaria per la Sicilia Orientale; l’Ospedale Psichiatrico stesso ed il Centro Servizio Sociale per Adulti di Messina), L’Azienda Usl n.5 di Messina (Settore Salute Mentale e Tossicodipendenze; Dipartimento di Tutela della Salute Mentale di Barcellona Pozzo di Gotto e Patti), il Comune e la Casa di Solidarietà ed Accoglienza della stessa città.

Ed il testo inizia con una premessa nella quale si legge come “il progetto obiettivo Tutela Salute mentale 1998-2000 pubblicato con Decreto del Presidente della Repubblica del 10 novembre 1999 (G.U. 22/11/1999) riconosce come aspetti problematici da affrontare le situazioni di istituzionalizzazioni che non sono state toccate dal processo di superamento degli ex O.P. Ci si riferisce – si specifica senza possibilità d’altre interpretazioni – alla realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”.

Una conferma  che lo stesso mondo politico era cosciente del fatto che il regolamento degli OPG non è mai stato adeguatamente rivisto e le strutture sono state gestite dal Ministero della Giustizia senza che una adeguata sanitarizzazione venisse fatta.

Ed ecco la novità dell’intervento che però lascia delle preoccupazioni in molti dei presenti: il Madia diventerà un normale carcere ed i cosiddetti soggetti con patologie verranno affidati a strutture competenti.

Ma come? Quali strutture? E soprattutto in quanto tempo? Il provvedimento che ha raggiunto il Madia ed un po’ tutti gli O.P.G. italiani prevede infatti che i detenuti con patologie vengano affidati a centri di cura specializzati presenti sullo stesso territorio di provenienza; ovvero, ulteriore punto da precisare, ogni regione si assumerà il carico dell’assegnazione e della cura dei detenuti/pazienti che gli competono (secondo l’anagrafe e la residenza degli stessi), riavvicinandoli alle famiglie.

Ma non tutti i detenuti sono curabili: purtroppo vi sono dei casi riconosciuti come gravi al punto da aver comportato una pena particolare per quella che è in termini tecnici detta “incapacità di intendere e di volere”. Queste persone non potranno essere affidate alle strutture di recupero ed il loro destino è ancora da decidere in quanto ogni regione prenderà dei provvedimenti adeguati alla propria territorialità. E si sa che la Regione Sicilia al momento è investita da strani venti e vuoti di potere non utili a gestire con facilità la cosa pubblica, seppure a volte i miracoli possano accadere.

Per quel che riguarda il Madia la situazione attuale è questa: la capienza dell’intera struttura sarebbe sulle 500 unità ma la chiusura di alcuni reparti ed il particolare tipo di detenuti ospitabili ha fatto sì che attualmente vi siano 267 ospiti. La situazione è quasi al limite dato che solo alcune ali dell’edificio sono aperte, e per la relativa manutenzione quest’anno si è potuto disporre soltanto, secondo la denuncia del direttore, di 10 mila €. Di questi 267 esseri umani solo 37 sono persone non affette da patologie, pervenute da altre realtà carcerarie sature ed impiegate in lavori minori utili alla conduzione del sistema interno. I restanti 230 sono un insieme di storie a volte troppo diverse e con disagi di vario grado: moltissimi quelli che sono sulla via del recupero secondo quanto detto dal responsabile sanitario, ma altri affrontano ogni giorno problemi anche gravi non legati soltanto al disagio mentale ma spesso anche fisico, dal diabete alla dialisi fino a tre casi di neoplasie ovvero tumori.

Il tutto in una struttura che da trent’anni attende, come quelle ad essa simili, una riforma che possa permettere una reale assistenza medica e non un semplice appoggio alle Usl locali che devono interrompere le proprie attività per predisporsi all’accoglienza di persone le quali per legge non devono essere messe a contatto con altri pazienti. Il disagio del Madia è poi aumentato negli anni a causa delle mancate assunzioni che avrebbero dovuto reintegrare i numerosi pensionamenti.

Solo nel 2011 sono stati 2 i medici andati in pensione e 15 gli infermieri; per le guardie carcerarie la situazione non è molto diversa. Così sono tante le perplessità legate alle complesse procedure di passaggio che devono essere condotte con una precisione assoluta: la oculata mappatura dei carcerati e lo studio dei loro singoli casi, la riconversione della struttura che necessita in maniera evidente di interventi manutentivi, l’individuazione delle realtà territoriali adeguate non solo ad ospitare ma soprattutto ad assistere e curare i detenuti individuati come idonei ad uscire dal carcere ed essere mano mano reinseriti nella società, e l’allocazione di quegli altri che invece sono davvero incapaci di guarire.

Il rischio maggiore nel caso di un transito fatto con modi superficiali come spesso succede nella cosiddetta società civile? Che proliferino strutture private (mancando spesso quelle pubbliche) che vedano in questi esseri umani la possibilità di arricchirsi  tramite un nuovo settore di “esternalizzazioni”,nonché una progressiva disattenzione al controllo delle cure loro prestate col rischio di un nuovo ritorno ai vecchi, spaventosi, manicomi soppressi nel ‘78.

Se si fosse proceduto ad una sanitarizzazione degli OPG quando la legge 180 nasceva in quel lontano finale di anni 70, si sarebbe avuta una situazione migliore utile ad evitare tutti questi disagi e queste incerte manovre? La risposta a questa domanda è stata sì, perché, dice il direttore, da una decina di anni proprio il direttivo del Madia chiedeva una collaborazione più intensa con la sanità pubblica tramite creazione di reparti specifici nel carcere considerato da alcuni “pattumiera sociale” perché oltre che istituto detentivo anche centro per persone con disagi.

Invece il sistema è andato avanti con un ordinamento obsoleto che adesso non si capisce bene se verrà riformato in bene o in meglio. Perché se è vero che le guardie carcerarie potranno fare solo le guardie, senza provare ad inventarsi infermieri o assistenti di sostegno sviluppando a loro volta, in alcuni casi, disagi da stress anche molto forti, su un altro fronte un orribile sospetto si insinua in qualche mente forse un po’ malpensante ma seriamente preoccupata: che in una situazione di pesante crisi, non soltanto economica, uno Stato sempre più superficiale in materia di Welfare stia trovando un modo legalizzato per scaricare su altri la responsabilità di cittadini con disagi la cui salute sin adesso è stata, seppur con ordinamenti obsoleti e superficiali, gestita dal pubblico.

Anche perché da chi verrebbero poi pagate le spese “private” per questo possibile “scarica barile”? Un dato infatti è chiaro: la spesa media giornaliera per un detenuto dell’OPG è stata sinora di 40 € (cifra comunque da incrementare per migliorare le vite degli interessati) , quella di un cosiddetto OTA è oltre i 100.  Una domanda dunque è sorta spontanea ed è stata posta a chi ha presentato il progetto come  (in ogni caso) un provvedimento che se fatto bene potrà essere utile ed in parte risolutivo: non sarebbe stato più facile e civile provvedere ad una riforma del sistema carcerario degli OPG con delle sezioni divise per problematiche e delle vere sale mediche interne? La risposta anche in questo caso è stata sì, ma ciò che hanno sottolineato sia il Direttore che il Responsabile Sanitario è che bisogna guardare al provvedimento preso, provando a realizzarlo nel rispetto delle procedute indicate dai ministeri, tutelando ed anzi vedendo di migliorare le condizioni dei detenuti che potrebbero trarne un vantaggio uscendo comunque da una realtà carceraria.

Vero, ma vi sono anche carceri travestiti da centri di cura, come la nostra storia ci insegna, ed ancora più preoccupazione (si spera eccessiva) scaturisce dal sapere che tutto ciò dovrà essere realizzato entro il marzo prossimo.

Meno di un anno per un progetto così difficile e delicato, trattandosi di vite umane? E’ come un’auto che ha sempre camminato a 30 km/h e che si cerca di far accelerare a 130 nel giro di una manciata di secondi. Speriamo che ci riesca senza si bruci e soprattutto arrivando al traguardo: il benessere di esseri umani che vanno curati e reintegrati in quella società dalla quale sono usciti per un recupero che tutti i paesi che amano dirsi civili prevedono nei regolamenti carcerari non sempre dotando poi le strutture dei servizi necessari a farlo davvero.  (CARMEN MERLINO)

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