UNA MESSINA PICCOLA, PICCOLA

È una Messina piccola, piccola quella appena reduce dalle elezioni europee. Il quadro che viene fuori da questa tornata elettorale è a dir poco desolante. Zero eletti al Parlamento di Strasburgo e, soprattutto, una bassissima partecipazione al voto. Il 37,95%. Che, attenzione, non sarebbe una vergogna se dietro ci fosse un fermento, un movimento di protesta che ha deciso di brandire l’astensionismo come un’arma contro una politica che non piace più.

Purtroppo, in questa città che, per quanto dura a morire, non riesce a dare più segni concreti di vita, anche la possibilità di autodeterminarsi, senza demandare agli altri, diventa un concetto assurdo, improponibile.
Non c’era bisogno del responso odierno delle urne per capirlo. Già sfogliando le liste dei candidati si era capita l’intenzione di abdicare. Senza offesa per chi si è messo in gioco, mettendoci la faccia – e già questo è un motivo di lode – il solo Nino Germanà si presentava con un curriculum tale da poter fare breccia. A penalizzarlo, purtroppo per lui e per i suoi elettori, il dazio che pagano, oggi, praticamente tutti i politici messinesi: la mancanza di peso fuori dal territorio. Nel caso dell’esponente del Nuovo centrodestra, il riscontro c’è stato comunque, anche fuori casa. Ma non ha nulla a che vedere con gli exploit di Caterina Chinnici, Salvo Pogliese, Renato Soru. Dello stesso Gianfranco Miccichè, sebbene trombato proprio a causa della performance del vice presidente dell’Ars, suo collega di partito.

Qui, però, occorre fare un distinguo. Il Ndc, con Germanà, così come Fratelli d’Italia – An con Ciccio Rizzo, il Movimento 5 stelle con il trio Paola Sobbrio – Antonio Zanotto – Maria Saija, Tsipras con Antonio Mazzeo e Olga Nassis, hanno provato a puntare sui messinesi. In Forza Italia, invece, Francesca Reitano, a dispetto di un risultato di tutto rispetto (7.504 preferenze in provincia di Messina, 16.704 in tutta la circoscrizione), era una predestinata alla sconfitta. Nel Pd, proprio il partito di punta di queste europee, che a Messina ha saputo esprimere un lusinghiero 32,88%, si è addirittura optato per farsi colonizzare sin dal principio.

Il trambusto generato dallo scandalo Genovese ha indotto tutti a più miti consigli, indubbiamente. Soprattutto da Roma e Palermo le indicazioni sono state chiare sin da subito. Questo però nulla toglie a una politica di sudditanza che, per quanto saggia, appare anche castrante. Soprattutto in prospettiva futura.

E se i 17.306 voti della palermitana Caterina Chinnici possono apparire fisiologici, visto il suo lignaggio, è un autentico unicum il successo di Renato Soru. Non certo per il suo spessore assoluto. Quanto per la sua apparente lontananza dai problemi di una terra che in comune con la sua Sardegna ha solo il mare intorno. Messina ha da subito adottato il padre di Tiscali, soprattutto nelle sue aree renziana e civatiana. Ma quanti si sarebbero aspettati le 7.524 preferenze riscosse nell’intera provincia? Perfino di più di quelle rimediate a Catania (6.953). Un record secondo solo a Palermo (11.249).

All’ex presidente della Regione Sardegna il Pd messinese sembra non abbia demandato solo la rappresentanza nel Parlamento europeo. Parrebbe che abbia chiesto ben altro: di farsi portavoce di un disagio che il partito vive ormai da tanto tempo in Sicilia. E Soru pare abbia accettato di buon grado. Quanto meno per entrare nella storia. Di conquistatori greci, cartaginesi, romani, arabi, normanni, francesi, spagnoli, tedeschi approdati a queste latitudini i libri sono pieni. Nel 1943 arrivarono pure gli americani. Da poco siamo meta appetita degli imprenditori russi. Ma di conquistatori sardi non si era mai sentito parlare.

E va bene pure demandargli la soluzione dei problemi. Che di farlo da soli non siamo mai stati capaci. Perfino Renato Accorinti si sta rivolgendo al resto d’Italia per dare un colpo di spugna alle criticità del capoluogo. La paura, tuttavia, è che a essere stato demandato, ormai da chissà quanto, sia l’amore per questa terra. Trattata sempre più come se non ci appartenesse. Come se non le appartenessimo.

Se son rose… demanderanno.

@FabioBonasera

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