“Cara Costituzione…”. Benvenuti a Messina: città in cui i diritti fondamentali sono solo un optional

Tu dici che ogni cittadino ha diritto al lavoro; che la salute e l’istruzione devono essere garantite; che la continuità territoriale è un servizio essenziale; che l’acqua è un bene che spetta di diritto ad ogni individuo; che a ciascuno va chiesto di versare un tot che tenga conto della propria capacità contributiva, non un centesimo in più; che la giustizia, l’assistenza e la tutela non devono mai mancare… ma sarà mica che tutti sti politici non ti hanno letta, cara Costituzione? Ma sì che ti conoscono: non fanno che appellarsi a te quando non vogliono legiferare in favore delle esigenze della società. Pensa a quando devono “tutelare la famiglia tradizionale”, o quando si sentono in obbligo di salvaguardare le pensioni d’oro invocando la sacralità dei diritti acquisiti… sì, sì, ti hanno letta.

Grazie, grazie a tutti voi che per decenni avete arricchito le vostre grasse pance sulla pelle della mia comunità, una comunità di cui non fate né mai avete fatto parte, una comunità di cui non vi sentite parte ma padroni; adesso lo abbiamo capito. Una comunità, la mia, che dovrebbe condannarvi tutti, in modo unanime. Senza esclusione di colpi. Non ci sono bravi e cattivi, siete (e sono stati) tutti una manata di ignavi: politici, dirigenti, cittadini! E questi sono i risultati.

In Italia e nello specifico a Messina. Attraversare lo Stretto è un’impresa; ricevere i servizi che paghiamo un miraggio; studiare in scuole valide ospitate da strutture pulite e che non cadono a pezzi un sogno; ottenere un’adeguata assistenza sociosanitaria una favola. Viviamo in una terra in cui spostarsi da una parte all’altra – anche dello stesso comune – è un’Odissea e persino per percorrere Boccetta-Villafranca ci si chiede di pagare il pedaggio per il passaggio da una strada dissestata, disastrata e pericolosissima. Le vie della città sono sporche, maleodoranti e rappresentano un continuo rischio per pedoni e conducenti di auto e moto: buche nella strada, crepe sull’asfalto, radici di alberi che vengono fuori dalla pavimentazione, squarciandola. I palazzi d’epoca si deteriorano per la violenza del tempo che passa inesorabile, senza che alcuno se ne sia preso la cura ordinaria che avrebbe dovuto essere ovvia; le nostre spiagge vomitano immondizia e rifiuti tossici che meriterebbero un trattamento particolare; il paesaggio visto dall’alto è una discarica a cielo aperto, ben visibile da chiunque gli dia un’occhiata approssimativa. E se lo guardi bene, quello stesso paesaggio, ti dà l’impressione che a gettare dall’alto uno spillo, questo non toccherà mai il suolo perché resterà impantanato in uno dei mille edifici che, come in un tetris isterico, sono stati costruiti e sovrapposti gli uni agli altri, senza criterio.

Poi, in giorni come questi, scopriamo come persino l’acqua sia un lusso, o talvolta un incubo: quell’acqua che, se cade copiosa, fa tremare chi vive nelle periferie che restano isolate o in cui si respira la paura di rimanere sepolti sotto fango e macerie; acqua che manca in certe ore del giorno ed è del tutto assente quando una frana impedisce che dal catanese venga portata fino alle nostre case messinesi. E così impera il mostro della siccità.

Nel 2015. Nel 2015 in un’isola come la nostra che è ricca di fiumi, fiumare e corsi. Cosa ne sia di coloro i quali, già di norma, pur avendone un disperato bisogno, si ritrovano senza quei servizi fondamentali di cui necessitano per andare avanti, non è dato sapere. Pensiamo agli anziani, ai disabili, a quei nuclei nei quali insistono circostanze di difficoltà o disagio; situazioni vissute da cittadini che dagli Enti pubblici non ricevono altro che rimbalzi o promesse puntualmente disattese. E questo vale nei momenti della cosiddetta emergenza così come anche tutti gli altri giorni dell’anno. Chi pensa agli anziani di Casa Serena quando d’estate si boccheggia dal caldo o d’inverno il freddo è una croce? Chi provvede ai bimbi che vivono in condizioni disagiate? Chi si preoccupa della sicurezza dei nostri ragazzi che, mentre studiano in classe, possono ritrovarsi colpiti in testa da calcinacci e intonaci? Chi si fa carico del problema dei mancati stipendi di dipendenti pubblici e dei lavoratori delle partecipate che restano senza per mesi? Chi si interessa della città e dei cittadini? La risposta è ovvia: i candidati a vario titolo, a ridosso delle tornate elettorali! Stop! Chi si fa garante della Costituzione, su cui in troppi hanno giurato fedeltà al popolo e difesa dei diritti della collettività? Nessuno! Una rappresentanza elettiva che di rappresentanza, in realtà, non ha davvero nulla. Migliaia di “signori nessuno” a cui abbiamo pagato prebende, pensioni, diarie e persino bonus senza che ce ne fosse – ne ve ne sia – una ragione. Del resto, se politica è servizio e servire il popolo e lo Stato è un onore e un onere, ed è in nome di questo “privilegio” che gentil uomini e donne, da decenni, si mettono a disposizione del tricolore, non ce ne vorranno se da oggi si chiederà a tutti loro, indistintamente, di portarsi a casa solo e soltanto 1560 euro mensili, ossia la media dei compensi che i cittadini del Belpaese hanno visto corrispondersi in busta paga nel 2014. Se la situazione retributiva dei nostri (non sempre “onorevoli”) rappresentanti fosse equiparata a quella degli onesti cittadini che, per qualche centinaio di euro, sgobbano senza sosta e spesso, per mettere insieme il pranzo con la cena, sono costretti a fare due, tre lavori (talvolta anche in nero perché, sai com’è: se lo Stato lo scopre ti tassa pure e sei punto e accapo!), siamo certi ci sarebbe tutto questo desiderio di servire la Patria e i cittadini? Bene, allora partiamo da lì: ridimensioniamo tutto e non è il solito discorso populista, è un invito che rivolgo ai soci dell’azienda Paese, agli azionisti dell’Italia s.p.a., a chi insomma tiene in piedi la baracca mettendo una mano al portafogli e con l’altra produce. Così opereremmo già una prima scrematura naturale tra chi vuol servire davvero la collettività e chi invece cerca solo di arrivare ad una poltrona comoda e strapagata su cui tener poggiate le proprie terga senza dover fare nulla per dimostrare di meritarlo. Quale follia domina questo caos in cui paghiamo servizi che non vengono erogati; premiamo dirigenti che non sanno fare il loro lavoro; copriamo di allori – e onori – politici che ci trattano alla stregua di plebei da sfruttare; portiamo sul palmo della mano il peso di una classe che è zavorra, incompetenza o malafede in doppio petto? E a fronte di tutto questo, non è davvero patetica quella situazione in cui i membri di una comunità costituita da poveri, da insoddisfatti, da persone che hanno perso la speranza nel presente (e in troppi anche verso il futuro), da gente che per pressioni finanziarie esercitate da uno Stato ingiusto ha optato per l’extrema ratio lasciando famiglie e congiunti, restano inermi ad attendere che arrivi il peggio di quel peggio che ogni giorno subiscono?

E tu, cara ma soprattutto vecchia Costituzione, a cosa servi, oltre che come alibi a certi individui per non agire nell’interesse della società? Tra le tue pagine, un articolo su tutti spicca ai miei occhi: “Art. 28. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Mi piace ricordare che indipendentemente da colpe e meriti, chi occupa ruoli, incarichi e dirigenze, ma in generale chiunque faccia la propria parte nell’ingranaggio che regge la comunità, detiene la responsabilità ed è dunque, nel bene o nel male, sempre responsabile di qualcosa. Sarebbe bello se questo concetto (la responsabilità) cara Costituzione, fosse più chiaro a tutti!

(@Eleonora.Urzì)

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