SERIE TV: LA SECONDA STAGIONE DI ORANGE IS THE NEW BLACK, ANCORA PIÙ BELLA DELLA PRIMA

Se l’arancione è il nuovo nero, Netflix è il nuovo HBO? Con questa seconda stagione (che ha fatto incetta di premi), la serie di Jenji Kohan ha consacrato definitivamente il provider americano come fucina creativa della quality tv statunitense, al pari di grandi nomi quali FX, AMC e, appunto, HBO. Per giunta con una commedia, o dramedy che dir si voglia, genere spesso sottovalutato tanto dalla critica quanto dal pubblico. Strano a dirsi: l’ironia non è forse lo strumento più accurato per indagare l’animo umano?

ALLARME SPOILER

Proseguire con la lettura solo si è già visionata la seconda stagione della serie, disponibile in blocco a partire dal 6 giugno su Netflix

Nettamente superiore alla prima, questa annata di Orange is The New Black ha centrato (e in pieno) il difficilissimo e tanto anelato obiettivo della coralità, attraverso una formula introdotta l’anno scorso e perfezionata nel corso del secondo ciclo. Una formula che ha saputo dare vita ad una comunità femminile perfettamente caratterizzata, tanto nel suo complesso quanto a livello di ogni singola individualità. Ed in effetti è stata proprio questa attenzione per l’individuo, unita a ricostruzioni del passato sempre meno celebrative e maggiormente interessate al concetto di “responsabilità personale”, a dare nuova linfa all’impronta corale della serie, secondo lo stesso principio che regola l’assemblaggio di un puzzle: se tutti i pezzi sono stati tagliati bene, allora potranno incastrarsi secondo il disegno previsto, ma se anche uno solo di essi presenta un difetto di fabbricazione, l’intera composizione finirà per risentirne.  E diversi erano, l’anno scorso, i “pezzi” che mal si combinavano gli uni con gli altri : ovvero quei flashback – marchio di fabbrica della serie – che peccavano spesso di buonismo e faciloneria indebolendo la carica realistica del racconto, al contrario molto forte nelle sequenze ambientate a Lichtfield.

Quest’anno, invece, si è scelto di spingere molto di più sul pedale del cinismo, sia all’interno che all’esterno del penitenziario. Dicevamo che l’ironia è lo strumento più adatto a raccontare l’animo umano: ecco, puntarci in misura maggiore è stato uno dei più grandi pregi di questa seconda stagione. Le vecchie ricostruzioni, che presentavano le protagoniste come vittime degli eventi o del contesto sociale in cui si trovavano, pur rimanendo invariate nella forma hanno infatti subito delle sostanziali modifiche a livello di contenuti, assumendo una carica ironica più forte ma comunque non eccessivamente dissacrante. Il punto di vista si è spostato: l’autrice, Jenji Kohan, e i suoi collaboratori hanno posto più enfasi (come dicevamo) sulla responsabilità delle proprie scelte e sulle eventuali conseguenze, senza però tradire l’impostazione della serie e dunque evitando di demonizzare i personaggi, al contrario sempre più umani e ricchi di sfumature. Sono emblematiche, in questo senso, le storie di Lorna Morello e Sorella Ingalls, la dolce italo-americana con un passato (e pure un presente) da stalker cronica e la suora ribelle interessata più alla gloria che alla giustizia sociale.

Come non citare, poi, la new entry di quest’anno: la spietata Vee, personaggio carismatico e particolarmente prolifico dal punto di vista narrativo, sul quale si è concentrata gran parte della trama stagionale e dell’attenzione del pubblico. A causa di questa importanza all’interno dell’arco narrativo e della sua totale assenza di scrupoli, è stata definita da alcuni un mero prop (strumento per mettere in moto determinati sviluppi) più che un vero personaggio a più dimensioni, ma ritengo che queste accuse siano poco aderenti alla realtà. Qualche sbavatura è riscontrabile, piuttosto, nella conclusione della sua parabola personale, forse troppo affrettata. Non mi riferisco all’incidente che la vede vittima di Miss Rosa, peraltro tanto grottesco quanto esaltante, ma al modo in cui le sue alleate ( e in particolare Taystee) le voltano le spalle nel giro di un solo episodio. Da una serie che ha fatto della caratterizzazione il suo cavallo di battaglia, ci saremmo aspettati un’evoluzione di questo malessere un tantino più strisciante, magari spalmata nel corso di più puntate. Per non parlare della morte di Rj, l’altro figlio adottivo di Vee: nel secondo episodio, ovvero quando ci viene mostrato il passato di Taystee, la ragazza non ha idea che sia stata proprio lei ad ordinare l’omicidio del suo amico, tanto che per anni continua a fidarsi ciecamente della donna e a cercarne la protezione. Per quale motivo, allora, le rinfaccerà quanto accaduto proprio nel finale? Lo sapeva fin dall’inizio? Se sì, perché si è svegliata solo adesso? E se non lo sapeva, come ha fatto a capirlo? Piccole incongruenze, forse, ma che lasciano comunque l’amaro in bocca.

Specie se vanno a concludere una stagione altrimenti raffinatissima, che ha saputo correggere i suoi errori con sorprendente puntualità. Giusto per fare un esempio: la storyline di Daya e John, la più debole e inverosimile della scorsa annata, ha preso una direzione finalmente credibile ed avvincente.

E poi c’è Piper, che ha subito un’evoluzione non da poco, dicendo addio all’ingenuità dei primi episodi per fare posto al disincanto e alla determinazione, alle volte perfino all’egoismo più sfrenato. Una Piper, tra l’altro, sempre meno protagonista: dopo una première interamente incentrata su di lei, infatti, la sua presenza sullo schermo (nonché la sua incidenza sugli eventi narrati) è diminuita drasticamente per fare spazio ad altre storie ed altre individualità. Per rendere la serie, in una parola, ancora più corale.

Sul dizionario questo termine viene così definito: “di opera letteraria o artistica o di una sezione di essa, in cui le parti dei personaggi sono armonicamente fuse tra loro come le varie voci di un coro, senza che nessuno assuma il rilievo di protagonista principale della vicenda”;

Orange is the New Black risponde ampiamente ai criteri elencati, ora più che mai. Ed è proprio questo che la rende una serie unica nel panorama televisivo attuale.

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