Calcio, Messina. I “Fedelissimi” spengono 41 candeline: la storia di una fede incrollabile

Foto Storica dei Fedelissimi
Foto Storica dei Fedelissimi

“Primi a nascere, ultimi a morire”. Era l’11 Novembre del 1973 quando per la prima volta, nella curva nord dello storico impianto Giovanni Celeste, appariva uno striscione con su scritto “Fedelissimi”, in occasione della gara contro il Ragusa; negli anni in cui il fenomeno ultras iniziava ad esplodere in Italia, anche a Messina cambia la concezione del tifo, adesso organizzato, e sugli spalti della nord, la casa dei Fedelissimi, inizia lo spettacolo del canto, dei colori e di un supporto ricco di amore e passione per la squadra della nostra città. Oggi, che il gruppo festeggia 41 anni di fede incrollabile nei confronti della maglia giallorossa, o biancoscudata, tante cose sono cambiate, ma l’amore per il Messina non si è spento e non è stato scalfito dalle numerose vicissitudini che hanno interessato il calcio nella città dello stretto. Perché il tifo è un credo, una fede a tutti gli effetti, nella gioia e nel dolore, come nel sacro vincolo di un matrimonio, quello tra i Fedelissimi ed il Messina.

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Marcello Saccà

Ne abbiamo parlato con Marcello Saccà, esponente di spicco del gruppo, figura storica del tifo messinese: “Certo che ne sono passati di anni…stasera si festeggia, saremo in tanti. Speriamo anche di vincere sabato, per festeggiare con la squadra. Noi ci siamo sempre stati davvero”. Traspare limpida l’emozione nelle parole di Saccà quando si ripercorrono i momenti più belli e quelli più brutti di questi lunghi 41 anni, sempre a fianco dei colori giallorossi: “Beh, dovremmo stare qui a parlarne per ore, probabilmente una giornata non basterebbe per descrivere tutto quello che abbiamo vissuto. Ricordo le vittorie nei derby con la Reggina, quello del 1975 con il gol di Musa, ma anche quello di quest’anno, ricordo la trasferta a Benevento con il gol di Schillaci che ci regalò la serie B (in quella gloriosa trasferta il Messina, a Benevento, giocava praticamente una partita interna); ricordo i bellissimi anni di Alliotta, ma anche quelli bui con i Franza, che pregammo inutilmente per iscrivere la squadra e non perdere il titolo, e tutto quello che venne dopo. Momenti belli e momenti brutti, ma noi sempre accanto alla squadra”.

Oggi il presente del Messina si chiama Pietro Lo Monaco, il presidentissimo, uno che o si ama o si odia, senza sfumature ma comunque in grado di riportare in soli due anni il calcio messinese nei palcoscenici che mancavano da troppo tempo, tra sogni, ambizioni ma anche tante difficoltà: “E’ un tipo sanguigno, molto impulsivo nelle sue dichiarazioni, ma non ha tutti i torti. La squadra è in ascesa e la società va aiutata, la città si deve stringere perché solo uniti si vince. Nei cinque anni del post Franza abbiamo vissuto tempi duri con i vari personaggi che hanno depredato il nostro calcio. Quindi oggi non vogliamo correre e il Messina deve avere delle solida fondamenta, altrimenti non si va da nessuna parte. Certo potremmo avere qualche punto in più, ma anche qualche punto in meno. Questo è comunque un campionato di transizione”.

Lontane le domeniche in cui le partite interne del Messina godevano di tutt’altra cornice: altri tempi, un altro stadio, un altro calcio. Ed un altro tifo: “Molte cose sono cambiate. Dico solo che quando ero ragazzo preferivo raccogliere i soldi per seguire il Messina in casa e anche in trasferta, piuttosto che spenderli per divertirmi il sabato sera. Oggi sono un uomo, ho una famiglia e un lavoro che a volte non mi permette di essere presente, fianco a fianco con la squadra, ma l’abbonamento l’ho fatto ugualmente. Bisogna ricreare l’entusiasmo e ripartire dai giovani, dai più piccoli, fidelizzarli al Messina e invogliarli nella cultura del tifo costante. Di certo non vedrete mai mio figlio con una maglia che non sia quella del Messina, bisogna sostenere la propria città e non solo nel calcio”.

Impossibile infine non parlare del problema della violenza negli stadi, binomio indissolubile con la figura degli ultras, accostamento fin troppo facile per il leader dei Fedelissimi: “Non siamo dei criminali. Quelli stanno al Parlamento. Per sviare l’opinione pubblica sui reali problemi del Paese si va sempre ad infierire sugli ultras. Certo, gli incidenti capitano, ma che dire del caso Cucchi? Un povero ragazzo abbandonato dallo Stato e ucciso dalla Polizia? E che dire di tanti altri episodi che non sto qui a raccontare? Gli ultras non sono cattivi ed esistono tanti esempi positivi di collaborazione e solidarietà che esulano dal calcio anche fra gruppi di tifoserie storicamente nemiche: vedi il caso Genova o Giampilieri, quando tanti ragazzi di Catania vennero a darci una mano”.

@RobertoFazio

 

 

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