“Bisogna essere radicali perchè è la realtà ad esserlo”, Giuseppe Ialacqua studia il fenomeno “dal basso”

Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta a firma di Giuseppe Ialacqua, studente universitario che si definisce “militante del cambiamento”: un cambiamento che da giovane qual è, ha vissuto anche attraverso l’esperienza del padre, oggi assessore della Giunta Accorinti. Una voce dunque “interna” alla discussione politica in atto e che non può più sintetizzarsi in semplificazioni come estrema sinistra/sinistra comunista/sinistra renziana, ma che si muove attraverso altri parametri per reagire a quella “società delle conseguenze” teorizzata dal radicale Geppi Rippa. Un contesto messinese che ha trovato in Cambiamo Messina dal Basso e il “fenomeno” Accorinti un laboratorio attivo, che Ialacqua ritiene necessario guardare oltre i personalismi. Per questo una missiva rivolta soprattutto ad “ex compagni” di viaggio, ma anche aperta a paradigmi diversi quanto necessari per leggere la realtà. (@Pal.Ma)

——–

Mi sono chiesto se potesse essere ancora attuale un commento sulle alterne vicende di quel poco che rimane della sinistra messinese, a partire però dall’ultimo documento del CPF (comitato politico federale, ndr) di Rifondazione di Messina, di alcuni commenti a caldo del suo segretario regionale, le dichiarazioni di sedicenti puristi della sinistra, ho trovato spunto e necessità per scrivere queste due parole.

Nel documento e nelle discussioni che ho letto trovo, tra le altre cose assolutamente giuste in termini di analisi di fase, un grande vuoto politico. Tralasciando alcune considerazioni che mi sembrano inopportune e premature, sui mancati risultati e sulla nuova presunta direzione che avrebbe preso la giunta, non vedo alcuna assunzione di responsabilità se non una generica considerazione sulle poche forze. Il punto centrale, che io rispetto e approvo, è la creazione di un mandato politico vincolante per Renato e la Giunta, senza il quale alcuni personalismi di recenti nomini assessoriali, o le contraddizioni su alcune vicende importanti come il Tendagate, diventano di fatto pericolosi. Trovo però paradossale riconoscere un ruolo predominante a Heller e ai circoli di potere e interessi non meglio specificati nella deviazione rispetto al percorso originario, perché si aggirano completamente due fattori: la nuova dialettica politica cittadina che ha ridotto a marginalità il vecchio conflitto tra partiti, e l’incapacità di riuscire a reagire e ad adattarsi alla nuova fase.

Il nuovo ruolo del municipalismo e del nuovo conflitto sociale, non più orizzontale ma verticale operato da un basso contro l’altro e non più semplicemente lotta di classe novecentesca, apre la strada a strumenti nuovi, non perché è cambiata quantitativamente l’importanza della partecipazione politica, semmai è diminuita davanti al retrocedere dei grandi partiti di massa, ma piuttosto essa è cambiata qualitativamente. Non più il governo di una classe ma una governance di poteri diversi, ed allora non più la lotta di classe ma per usare un’espressione di Luciano Gallino “la lotta di classe dopo la lotta di classe”: un nuovo modo di fare rete, di organizzare la rabbia e le energie, di mettere in circolo impulsi nuovi e spesso laceranti quanto necessari, un nuovo modo di interagire rispetto al consenso e al voto, una nuova radicalità che viene dalla società e conosce nuovi modi di organizzarsi.

Il che non vuol dire oggi che non ci siano più classi e diseguaglianze, ma che dobbiamo aggiornare i nostri strumenti analitici e le nostre risposte. Il nuovo paradigma è la partecipazione politica diretta, la lotta dal basso, non più la delega né la disciplina, non più la maggioranza e la minoranza, una nuova capacità di fare sintesi, una nuova cultura politica che riesca a fare breccia dopo la caduta delle grandi narrazioni del mondo dopo “la fine della storia”, non post-ideologica quanto piuttosto neo-radicale, bisogna essere radicali perché è la realtà ad esserlo.

Superare l’ipocondria dell’impolitico, fare breccia nella sfera del privato con la nuova grande forza della partecipazione, rompere come era nella lezione di Marx le barriere tra luoghi legittimati a produzioni politiche per costruirne e per legittimarne invece degli altri, quei luoghi dove si generano i rapporti sociali e di forza, per affermare definitivamente che il sociale è politico (è personale) è rivoluzionario.

Questa nuova narrazione a Messina è cominciata senza dubbio con Accorinti, con i suoi pro e i suoi contro, probabilmente troppo tempo prima del necessario, senza che noi riuscissimo a rendercene conto e riuscissimo ad aggiornarci. Così abbiamo perso molti compagni di viaggio e lasciato indietro pezzi di una sinistra storica messinese che io credo non più in grado di capire la nuova fase, senza gli strumenti concettuali e politici per poter agire. Militanza oggi ha un significato profondamente diverso da ieri, se non si è in grado di intercettare questa spinta nuova bisogna fermarsi a riflettere.
E così arriviamo all’investimento di responsabilità di cui parlavo prima, perché se Renato incarna questa fase non può certo affrontarla da solo, e dopo averlo messo nelle condizioni di dover parare frecce e spade non si può certo richiedere che sia lui a costruire questa rete nuova di cui abbiamo bisogno, soprattutto perché politicamente non si costruisce più in questo modo: Landini e la coalizione sociale dovrebbero avercelo insegnato.

Un nuovo mandato politico per una rappresentanza nuova si costruisce a partire da un patrimonio radicale di energie ed esperienze che riesca a farsi interprete reale e non solo teorico del cambiamento, solo questa dialettica può costruire oggi attorno e oltre Renato Accorinti.

Se una cosa non è cambiata è la sfida rispetto ai rapporti di forza che ancora bisogna vincere può giocare questa partita se non hai le forze per affrontare un braccio di ferro con i poteri delle città.

Qui io non vedo alcun accenno alla propria colpevolezza, a non essere riusciti a costruire un fronte sociale largo, a non essere riusciti ad interpretare la fase nuova, ad essersi auto eliminati da un percorso che sarebbe potuto andare molto diversamente. Abbiamo consumato una frattura storica nel vecchio panorama della sinistra e non riusciamo a capire quanto sangue abbiamo perso. Questo sangue porta responsabilità precise e resistenze al nuovo orizzonte politico e sociale che si distende davanti a noi. L’irresponsabilità oggi non è più ammissibile, non si può affermare come niente fosse che Renato è un manichino nelle mani della tecnocrazia senza essere in grado di capire che il problema prima di essere in Renato è nella nostra incapacità, al contrario del suo merito in questo caso, di costruire forze nuove. E non perché Renato non ha fatto scelte sbagliate, ma perché Renato è un uomo e noi dovremmo essere una forza sociale, politica, storica: cari pezzi della vecchia sinistra voi non siete in grado di essere parte di quella forza, non per le poche tessere e le scarse attività sul territorio che a quanto pare non destano alcun timore, quanto piuttosto perché la vostra analisi non è più attuale e la vostra pratica appartiene ad un altro pianeta. Non sto dicendo che non date il vostro contributo perché mentirei, ma il problema è metodologico, procedurale, analitico, complesso e strutturato e tutto vi riguarda e voi mai ne parlate.

Davanti a questo vuoto politico non sono neanche io sicuro che esperienze come CMdB siano oggi una risposta sufficiente, eppure mi sembra l’unica in grado di affrontare le sfide che ci attendono, in grado di comparire tra i protagonisti del conflitto sociale, perché sono dotati di una empatia sociale rivoluzionaria che cresce ogni giorno in forze e radicalità.

Questo modo di agire e sentire la politica sta scompaginando le pagine del neoliberismo in tutta Europa, è un metodo che funziona e che porta con sé sogni e speranze, a partire da queste bisogna ricostruire un percorso politico che diventi non più aggirabile, sia quantitativamente sia qualitativamente.
Oggi si sceglie da quale lato della barricata stare, la scelta è storica, e l’invito all’opposizione di larghi strati della sinistra storica e della new left (molto poco new e sempre meno left) sono la prova che questa scelta è già stata fatta da tempo e non c’è più possibilità di tornare indietro. Visto che è possibile ad un segretario regionale o ad un consigliere comunale sputare su energie e speranze di chi ancora crede e lotta per e con questa giunta, mi è oggi permesso dire che vi siete tagliati fuori dalla storia e dalla società, relegandovi ad un ruolo molto peggiore del manichino, ovvero quello di comparsa, macchietta al lato dello scontro sociale, funzionale semmai a qualche articolo della stampa di regime.

Vi rimando indietro le vostre accuse di servilismo e direzione dai luoghi del potere, di renzismo e collusione borghese: non si possono accrescere parole senza peso solo alzando il tono e l’obbiettivo delle accuse, perché 11 pagine di documento, centinaia di dichiarazioni e stati su Facebook non sono un peso sufficiente per lo scontro che ci si appresta a combattere, e non dipende dalla carta ma dal mittente.

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it