Primo Maggio, su Portella della Ginestra la riflessione di Cassarubea per Messinaora

Oggi, 70esimo anniversario della Strage di Portella della Ginestra, ci manca lo storico Giuseppe Casarrubea, studioso di Salvatore Giuliano su cui ha pubblicato diverse opere e morto a giugno del 2015. Uno dei suoi libri più importanti, ‘Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato’ fu oggetto di un processo, intentato all’autore dal generale dei carabinieri Roberto Giallombardo. Nella sentenza del processo Giallombardo-Casarrubea venne dichiarata la validità della sua ricerca storiografica. 

In questo giorno ripubblichiamo uno stralcio di un articolo del 2012 che ci diede l’onore di pubblicare sul nostro giornale. Certi che il suo messaggio sia purtroppo validissimo anche in questa giornata.

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Adesso che arriva il 1° maggio, tremo e temo. Temo la calca, la musica gratis, la stampa dei libri d’occasione, i sindacalisti che dicono questo sì e questo no o, che, peggio, fanno di testa loro, sperperano denaro pubblico, riempiono fiumi di inchiostro e piazze di folle plaudenti. I sindacalisti dello scarto, gli esibizionisti dei palcoscenici con i cervelli vuoti di quattro nozioni che si ripetono annualmente da una ricorrenza all’altra. Dei caduti di Portella, fino a quando un deputato regionale timido e schivo se ne occupò dagli scranni del parlamento siciliano, nel 1999, questi signori non sapevano neanche i nomi e i cognomi; storpiavano quelli dei sindacalisti assassinati. Continuano a ignorarli ancora oggi. Ogni giorno che passa perdono sempre di più la memoria; i morti diventano un elenco freddo da leggere in pubblico su un pezzo di carta. Occasioni passate in contesti in cui, messe le coscienze a posto, questi morti si disperdono per tornare ai loro posti eterni, affidati al ricordo di pochi, alla verità della storia.

Tremo per la tronfietà dei discorsi e dei relatori, per il loro ergersi a pulpiti, a predicatori, difensori degli operai e della gente che lavora, quando essi per primi non hanno mosso un dito per i caduti, i morti, gli innocenti senza voce e senza istruzione. Tremo di rabbia perché mi rendo sempre più conto che c’è una mafia che uccide con le armi e c’è una mafia che uccide senza armi. Una seconda e una infinitesima volta. Ricorrendo all’esclusione, alla delegittimazione, alla diffamazione, al disprezzo. E continua a farlo sperperando denaro pubblico e non investendo un euro per la memoria, perché le nuove generazioni sappiano.  Tremo perché certi signori con i fazzoletti rossi al collo per le cerimonie d’occasione, non si sono mai premurati di muovere un passo verso i tribunali, per interrogare i caduti e con essi chiamare lo Stato a fare il suo dovere primario di non dimenticare, di costruire sinergie per scoperchiare la terra e liberare il grido soffocato che viene sempre più forte dalle sue viscere. Ci dobbiamo godere le facce sepolcrali che troneggiano in mezzo a cori di ufficialità. E così non sia.

 

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