Operazione Beta, la procura chiede che Lo Castro torni in carcere

Processo d’appello sulla posizione restrittiva dell’avvocato Andrea Lo Castro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’Operazione Beta, che si trova attualmente agli arresti domiciliari su precedente decisione del gip, poi confermata dal tribunale del Riesame.

Secondo la Procura la misura dei domiciliari non è rapportata alla gravità della condotta, e l’avvocato Lo Castro, dovrebbe tornare in carcere.

biagio_grassoA sostegno di questa richiesta vi è un nuovo verbale, contenente le dichiarazioni rese all’interrogatorio da parte di Biagio Grasso (foto a sx), imprenditore ritenuto vicino a cosa nostra barcellonese, che aggrava la posizione di Lo Castro e che è stato depositato dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto della Dda Liliana Todaro, che hanno reiterato la richiesta di arresto in carcere per il legale difeso dal collega Favazzo.

Sulla richiesta dell’accusa il collegio presieduto dal giudice Antonino Genovese terrà la prossima udienza il 9 ottobre, dando tempo alla difesa di esaminare il nuovo atto depositato.

Ricordiamo che il tribunale del Riesame ha pienamente confermato le contestazioni di associazione mafiosa che sostenevano le misure cautelari per Vincenzo e Francesco Romeo, ritenuti al vertice della famiglia mafiosa, nonché, tra gli altri, di Pasquale Romeo, Benedetto Romeo, Antonio Romeo, Stefano Barbera, Marco Daidone e omissis.

Rimane agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa anche l’imprenditore Carlo Borella, ex presidente dei costruttori di Messina. Per Lo Castro il Riesame ha confermato anche la falsa intestazione dell’appartamento del complesso Nuovo Parnaso, che secondo l’accusa sarebbe stato acquistato con denaro del capomafia Vincenzo Romeo ed intestato al fratello Gianluca, ritenendo però non compatibile l’ulteriore contestazione di riciclaggio. Agli arresti domiciliari per corruzione c’è anche il tecnico comunale, l’ing. Cucinotta.

Il Tribunale della libertà ha poi confermato nei pronunciamenti dei mesi scorsi l’impianto accusatorio dell’operazione antimafia Beta, sulla presenza di una “cellula” criminale locale che si avvaleva anche di imprenditori e di colletti bianchi, integrando le caratteristiche dell’associazione mafiosa.

L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dai sostituti Maria Pellegrino, Liliana Todaro e Antonio Carchietti, aveva portato in carcere nei mesi scorsi 30 persone, svelando l’esistenza di una cellula di Cosa nostra etnea a Messina, sovraordinata ai gruppi mafiosi locali.
Il gruppo si avvaleva di professionisti, imprenditori e funzionari pubblici per gestire rilevanti attività economiche. Nel corso delle udienze davanti al Riesame l’accusa ha depositato altre intercettazioni da cui emergono nuovi affari ritenuti illeciti in ambito di riciclaggio internazionale.

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