Vangelo ora: ritorno a Gerusalemme

I due discepoli che  scappano da  Gerusalemme luogo di Responsabilità e di morte vanno verso Èmmaus, ma fanno un incontro strano: un pellegrino si accoda a loro e inizia a spiegare loro la Scrittura e lo riconoscono nello spezzare il pane, era Gesù. Emmaus non sappiamo dove si trova veramente, ma come azzardano alcuni esegeti è un simbolo di tutte le nostre strade, quando qualcosa sembra finire, e si torna a casa, con le macerie dei sogni. È anche il luogo dell’evasione, dove pensi  che starai meglio non vedendo le persone che ti stanno sullo stomaco, dove non avrai problemi di ogni sorta. Ma cammin facendo ti accorgi che forse tutto ciò da cui scappi è dentro di te e che è giunto il momento di ascoltare chi ti sta accanto e che vuole condividere un pezzo di strada con te. Due discepoli, una coppia, forse un uomo e una donna, marito e moglie, una famigliola, due come noi: «Lo riconobbero allo spezzare del pane», allo spezzare qualcosa di proprio per gli altri, perché questo è il cuore del Vangelo. Non è possibile camminare da soli, per strada incontri sempre qualcuno con cui spezzare il pane o il tempo e poi condividere cammino e speranza.

I due discepoli partono convinti, la storia del Profeta Gesù considerato il Messia secondo il loro modo di vedere è stato un fallimento, ma dopo aver ascoltato e visto è cambiato il cuore dei due e cambia anche la strada: «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme».

È già tardi quando dicono al Maestro “rimani con noi perché scende la sera” ma per chi come loro fa esperienza di Cristo risorto l’esilio triste diventa corsa gioiosa, non c’è più notte né stanchezza né città nemica, il cuore è acceso, gli occhi vedono, non patiscono più la strada: la respirano, respirando Cristo. Diventano profeti. Stanno ancora parlando e Gesù di persona apparve in mezzo a loro, e disse: Pace a voi.

Lo incontri e subito sei chiamato alla serenità: è un Signore che bussa alla mia vita, entra nella mia casa, e il suo saluto è un dono buono, porta pace, pace con me stesso, pace con chi è vicino e chi è lontano. Gesù appare come un amico sorridente, a braccia aperte, che ti accoglie con questo regalo: c’è pace per te. Mi colpisce il lamento di Gesù «Non sono un fantasma» umanissimo lamento, c’è dentro il suo desiderio di essere accolto come un amico che torna da lontano, da stringere con slancio, da abbracciare con gioia.

Gesù non è un fantasma, non puoi amare un fantasma. E pronuncia, per sciogliere dubbi e paure, i verbi più semplici e più familiari: «Guardate, toccate, mangiamo insieme!» gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più familiare dei segni, al più umano dei bisogni. Lo conoscevano bene, Gesù, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono. E mi consola la fatica dei discepoli a credere. È la garanzia che la Risurrezione di Gesù non è un’ipotesi consolatoria inventata da loro, ma qualcosa che li ha spiazzati. Il ruolo dei discepoli è aprirsi, non vergognarsi della loro fede lenta, ma aprirsi con tutti i sensi ad un gesto potente, una presenza amica, uno stupore improvviso. E conclude oggi il Vangelo: di me voi siete testimoni. Non predicatori, ma testimoni, è un’altra cosa. Con la semplicità di bambini che hanno una bella notizia da dare, e non ce la fanno a tacere, e gli fiorisce dagli occhi. La bella notizia: Gesù non è un fantasma, è potenza di vita; mi avvolge di pace, di perdono, di risurrezione. Vive in me, piange le mie lacrime e sorride come nessuno. Talvolta vive “al posto mio” e cose più grandi di me mi accadono, e tutto si fa più umano e più vivo.

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