L’Ora del Vangelo: «Effatà – apriti!»

di Frà Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Marco In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.  Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.  E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!»

Gesù a quanto pare nell’attraversare i confini non ha problemi di respingimento, approda nella Decapoli, terra pagana attraverso il mare. Gesù considera suo ogni lembo di terra perché il suo desiderio è l’incontro con ogni uomo desideroso di essere accolto, ascoltato e curato. Dando uno sguardo al contesto socio-politico e religioso in cui viviamo, possiamo tranquillamente identificarci in questo sordo muto del Vangelo odierno, se notate non ha nome perché possiede il nome di ciascuno di noi. La Decapoli la possiamo paragonare alla nostra Europa o Italia, alla ricerca di un’identità o meglio alla ricerca delle radici Cristiane che vanno oltre i segni, i riti e soprattutto oltre una religiosità che non ha niente a che vedere con la fede in Cristo Gesù, Parola Incarnata. Dicevamo che siamo inseriti in un contesto paganizzante dove regna una cultura pluralista, in cui ognuno fa e dice ciò che vuole, ognuno ha la sua verità in tasca, ciascuno cerca di sopravvivere balbettando tra sé qualche parola che dia un senso alla sua esistenza, a causa della confusione di proposte di vita e della complessità del contesto sociale e culturale. Ed è proprio in questo contesto che calza a pennello il rimprovero di Gesù ai suoi discepoli apostrofati come «privi di intelligenza» e tardi a capire (Mc 7,18) i suoi insegnamenti: erano simili a balbuzienti che faticano a dire bene le cose perché in difficoltà ad ascoltare e accogliere. Abbiamo difficoltà ad accettare la Verità che sta in Cristo e nella sua Parola.

Chiudi gli occhi un istante e pensa che quel sordo muto sei tu… Gli portarono un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio, una vita dimezzata, ma che viene “portato”, da una piccola comunità di persone che gli vogliono bene, fino a quel maestro straniero, ma per il quale ogni terra straniera è patria.

Gesù lo prende, per mano probabilmente, e lo porta via con sé, in disparte, lontano dalla folla, e così gli esprime un’attenzione speciale; non è più uno dei tanti emarginati anonimi, ora è il preferito, e il maestro è tutto per lui, e iniziano a comunicare così, con l’attenzione, occhi negli occhi, senza parole. E seguono dei gesti molto corporei e insieme molto delicati.

Gesù pose le dita negli orecchi del sordo: il tocco delle dita, le mani che parlano senza parole. Gesù entra in un rapporto corporeo, non etereo o distaccato, ma come un medico capace e umano, si rivolge alle parti deboli, tocca quelle sofferenti.

Poi con la saliva toccò la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti dò qualcosa di mio, qualcosa di vitale, che sta nella bocca dell’uomo insieme al respiro e alla parola, simboli dello Spirito. Vangelo di contatti, di odori, di sapori. Il contatto fisico non dispiaceva a Gesù, anzi. E i corpi diventano luogo santo di incontro con il Signore e «i sensi sono divine tastiere» (D.M. Turoldo). La salvezza passa attraverso i corpi, non è ad essi estranea, né li rifugge come luogo del male, anzi sono «scorciatoie divine» (J.P. Sonnet)

Tutti siamo uguali davanti a Dio. E per farci comprendere esattamente questo discorso, l’Apostolo porta un esempio di vita sociale ed ipotizza una situazione reale e abbastanza ricorrente al suo tempo, come ai nostri giorni: Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Purtroppo la discriminazione è ormai il nostro stile che viene promosso come giusto e legittimo…

Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè: Apriti! In aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua del cuore. Prendi le distanze, slegati dalle situazioni che ti coinvolgono, di attanagliano, ti logorano, ti opprimono perché sono situazioni di grande sofferenza, che ti legano alle catene dell’impotenza di fronte al male, alle catene delle ingiustizie del sistema, alle catene della radicale precarietà della salute umana. Slegati dai conflitti che annodano le relazioni.

«Effatà – apriti!»: vai nel santuario della sofferenza, apriti ai poveri, liberato dalle tue sicurezze, dalle tue ricchezze, dalle tue pretese di autosufficienza, apriti al mistero del Regno di Dio che appartiene alla carne di Cristo contemplata là dove si incontra l’ultimo di questa terra. «Ascoltate: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che il Signore ha promesso a quelli che lo amano?» (Gc 2,5). È questa forse la più difficile apertura da vivere, per la quale Gesù sospira ancora oggi per ciascuno di noi: aprirsi al dono di Cristo presente nei più sofferenti. Non è assolutamente facile coglierne il dono, non è assolutamente facile credere che «il Signore ha fatto bene ogni cosa», che anche nel limite radicale di situazioni di tanta sofferenza si cela un mistero di bene.

L’invito di Gesù ad aprire i nostri orecchi al grido dell’altro, ad ascoltare la sua Parola è incompatibile con uno stile relativista dove sembrano avere la meglio slogan e proclami urlati tra un hashtag e un post  che fomentano odio, anziché argomentazioni e ragionamenti che si fondino sui veri valori del Vangelo unica Verità per aprirci all’altro che non è un nemico ma un fratello che nella sua diversità mi aiuterà nella conoscenza di un mondo pieno di colori dove non c’è posto per la paura che porta a chiuderci e a continuare a vivere di hashtag e post costruendo una società che non appartiene al vero Cristiano.

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