Baracche e baraccati a Messina: oltre la casa, il diritto di essere cittadini

di Saverio Di Bella – Baracche e baraccati sono elementi base di un sistema complesso, di un insieme nel quale aspetti materiali e aspetti immateriali sono fusi e possono apparire confusi alla percezione.
La soluzione concreta dei problemi è però necessariamente legata alla capacità di chi
guida e partecipa allo sbaraccamento, di individuare i singoli problemi facenti parte
dell’ insieme affrontandoli e risolvendoli uno per uno.
Solo così il percorso dello sbaraccamento – che inizia il suo cammino concreto con le
ordinanze del Sindaco De Luca e con la dichiarazione della Regione Sicilia dello stato di
emergenza della città di Messina – può svilupparsi e concludersi con il recupero civile e culturale dei baraccati.
Un cammino e un percorso quindi da costruire e realizzare con la partecipazione attiva di
psicologi, pedagogisti, mediatori culturali. Non sembri fuori luogo questo richiamo ai
mediatori culturali. Ci si troverà, infatti, a dovere affrontare il problema dell’inserimento
dei bambini nati e vissuti nelle baracche ed emarginati dal sistema educativo – asili nido,
scuole materne, scuole elementari, scuole medie, tempo pieno – in un sistema educativo
efficace ed efficiente.

Un sistema che sia capace di colmare le lamentate lacune nella consapevolezza che i bambini delle baracche si esprimono soltanto in dialetto – tra l’altro il dialetto del proprio quartiere – e sono abituati ad una vita di strada nella quale l’uso della violenza è ritenuto dai loro genitori indispensabile per non essere sopraffatti.
Tutto ciò in una scuola i cui maestri e insegnanti non parlano più, in buona parte,  la
lingua siciliana e il dialetto messinese non lo capiscono. Come non lo capiscono e non lo
parlano buona parte dei ragazzi della Messina bene.

Che tipo di relazioni saranno costruite nella concretezza della convivenza quotidiana tra
questi mondi così lontani e diversi?
Chi guiderà il processo di necessaria integrazione?

Ma torniamo ai problemi.
La guerra senza frontiere dichiarata dal Sindaco di Messina, De Luca, alle baracche si
chiuderà  – lo speriamo tutti – con la distruzione di un vero e proprio monumento
d’infamia costruito sulla pelle dei Messinesi. Le baracche saranno macerie e memoria di
dolore e degrado, e forse rimorsi di coscienza  – per i responsabili di un calvario
plurisecolare. Saranno foto e filmati di una realtà che apparirà remota,  da incubo.
La cancellazione delle tracce stesse di questa realtà sarà comunque visibile, completa,
meritoria. Si volta pagina.
Tutto bene? Tutto risolto?
Purtroppo no.

Perché distruggere le baracche è la parte più facile di un progetto di recupero civile che
deve riguardare anche i baraccati e di cui non c’è traccia alcuna – almeno io non l’ho
riscontrata  nell’attuale fase.
Bisogna chiedersi: gli uomini e le donne, i vecchi e i bambini di queste periferie della
vergogna che cosa sono diventati come cittadini?

Come rieducarli alla dimensione di diritti e di doveri? Come garantire agli adulti un
lavoro onesto e ai bambini un iter scolastico rispettoso dell’art. 3 della Costituzione?

Nessuno può fingere di ignorare che l’economia delle baracche è stata in prevalenza
un’economia imperniata sull’illegalità diffusa, per quanto figlia – almeno in parte – della
mancanza di alternative.
Ambulanti senza licenza alcuna, manovalanza criminale, scommesse clandestine su cani
da combattimento e corse di cavalli, approvvigionamento fraudolento di luce e acqua per le baracche, furti, scippi ecc… hanno visto i baraccati fornire notizie alle cronache
quotidiane e carcerati alle patrie galere. Nonché clienti agli avvocati e voti ai politici e
agli amministratori.
Tutto ciò ha creato una cultura, un senso di vita distorto con lo Stato e le sue leggi, la
città e le sue regole.
I bambini poi sono stati espulsi dalle scuole e dall’istruzione. In alcuni casi è tornato
l’analfabetismo, dolente ferita. Questa massa civilmente mutilata, deprivata di diritti – salute, istruzione, lavoro – va recuperata a una nuova dimensione umana  e civile che parta dai diritti.
Quello alla casa è uno. Consideriamolo il primo, l’inizio e l’aurora di un nuovo giorno
ancorato ai diritti e valori garantiti dalla Costituzione.
E gli altri? Per la salute si prevede uno screening di massa. Va bene cominciare dagli
ammalati, inclusi quelli cronici. Ma che assistenza avranno finito lo screening?
E gli ambulanti abusivi saranno  recuperati verso la legalità? E come? E in che tempi?
E i senza lavoro avranno finalmente un lavoro? E come, in una città che estromette dal
lavoro chi già ce l’ha e vede riprendere l’emigrazione?
E l’istruzione? In quali classi e con che tipo di preparazione dei docenti e di compagni
saranno inseriti i bambini delle baracche?
E spacciatori e scommettitori che fine faranno?
E chi è abituato ad occupare una casa appena la vede libera o a costruire una baracca in
un posto che ritiene idoneo, come e da chi sarà accompagnato al rispetto dei diritti e
delle proprietà altrui?

Questi aspetti del problema baraccati, sia ben chiaro, non riguardano solo il  Sindaco protempore investono l’intera comunità e la investiranno per anni.  Sono sfide
collettive alle quale non ci si può sottrarre.
Perché – altrimenti – sul piano della cultura  e di modelli di vita sarà la cultura delle
baracche col suo filo di Arianna dell’illegalità diffusa  a conquistare la città.

Lo abbiamo sempre saputo che nello stesso spazio sono compresenti e convivono –
scontrandosi o raccordandosi in una propria terra di mezzo – due città. O quella legale
ricatta e integra quella illegale; o la seconda ingloba la prima. Tertium non datur.

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