Andreotti, la Sicilia e la “banalità del male”

di Giuseppe Campione – Voluta da Cuffaro e pubblicata da Franco Maria Ricci nel 2006, apparve l’Enciclopedia della Sicilia, che conteneva tutto l’ieri e l’oggi. Certo, soltanto gli illustri uomini di Sicilia…purchè sicuramente morti. E Giulio Andreotti ebbe da quel presidente l’invito a parlarci di Salvo Lima. E fu lucidamente stringato, a suo modo essenziale. E sarebbe stata una storia a suo avviso, ma anche del Presidente siciliano, scritta in maniera definitiva: … il resto sarebbe rimasto solo un gran vociare.

Adesso (ma anche allora), a rileggere quelle ventisette/ventotto righe, è come se si restasse basiti ma in realtà era come se facessero uscire per intero allo scoperto uno statista, … perché no?… sostanziato da quelle antiche motivazioni culturali dei cosiddetti moralisti classici di cui a lungo ci ha parlato Giovanni Macchia, da Machiavelli a La Rochefoucauld e a tanti altri.

Andreotti in quel succinto esprimersi era come se avesse ridotto l’orrore palermitano, quello degli anni di Gioia, Ciancimino, Lima, D’Aquisto e dei loro alleati o sherpa, ad una semplice “concorrenza elettorale per le preferenze”, dovuto “a un non sempre brillante pluralismo correntizio”. E continuò nella sicurezza di enumerare una sorta di cursus honoris del suo uomo, da sindaco a deputato, a sottosegretario, a parlamentare europeo (e qui il nostro si dimentica di ricordare che quel Lima per avere preteso ed ottenuto dal Banco di Sicilia, lui che era soltanto peraltro un esperto dei fatti sportivi della Libertas, diciamo da un consiglio d’amministrazione prostrato del banco, una disinvolta e grossa promozione).

Comunque siamo a quando Lima si occupa di finanza nel Governo nazionale e quindi anche di bilancio e programmazione! E Andreotti minimizza. E’ come se avesse lasciato a casa una consueta sagace e cinica ironia, edulcorando perciò come se sentisse di dovere dimenticare una storia, così dimentica che a Strasburgo era stato costretto ad imboscarsi per incompatibilità ambientale… Dice invece che ebbe notevole successo. Certo non sapeva che Luciana Castellina avrebbe scritto che lui e altri parlamentari italiani erano assolutamente silenziosi al Parlamento Europeo ma erano soprattutto presenti (costantemente) ai tavoli da gioco di Badenbaden.

Questo scritto di Andreotti a Palermo non sarà nascosto come spazzatura sotto il tappeto, Andreotti, gli andreottiani, l’assoluta maggioranza loro nella democrazia cristiana non lo considererà mai tale. Ma infine, e siamo sempre nelle ventisette/ventotto righe, Andreotti da il meglio di se quando spiegherà, una volta per tutte, che la morte di Lima è stata determinata da mano mafiosa. Ecco: le cronache vollero vedere in questo la “punizione per presunti non ulteriori appoggi, o più esattamente per non aver impedito le durissime leggi contro la mafia decise dal governo Andreotti”. Ed è come se Andreotti avesse dimenticato quello che si era dibattuto nel processo a Palermo…come se i dibattiti processuali non fossero instantanee di risposte che ci restituiscono, come scrive il grande storico Silvio Lanaro “il senso di un ambiente, di un clima, di un conflitto sociale e culturale di lunga durata che oltrepassa i confini della testimonianza”. Già, ma gli atti del processo sono tutti disponibili, anche attraverso Radio radicale. E allora che senso aveva definire presunti appoggi quella che era matura appartenenza, intelaiatura di relazioni, di connivenze, di identificazioni che vengono declinate con riferimenti puntuali.

Così accadeva al Congresso di Agrigento del 1983: Lima fu costretto ad atti di lesa maestà nei confronti più che della mafia sua, di quella di Ciancimino, dal clima che derivava di un lungo elenco di morti, uccisi perché volevano rendere più gentile il destino della nostra terra, quei nostri poveri eroi uccisi dalla mafia perché tentavano di segnare un modo civile di essere per la nostra Sicilia: dai giudici a esponenti delle forze dell’ordine, a funzionari e infine anche da politici (da Pier Santi Mattarella a Pio La Torre) ed infine dal generale Dalla Chiesa.

In qualche modo anche Claudio Vitalone (nella foto con Andreotti), l’uomo per la giustizia di Andreotti che cercò di fruire del suo ruolo di grande esperto per la messa all’angolo di Carnevale e quindi per la accettazione in Cassazione della sentenza del maxiprocesso, ci spiegò tutto questo. Certo la morte nell’agosto del 1991 del magistrato Nino Scopelliti che gestirà la validità della sentenza del maxiprocesso di Palermo e poi anche con una certa dose di cinismo l’essersi trovati a dover dare eccezionale, insolita, rilevanza diciamo storica a Falcone, pur di consentire ad Andreotti di diventare Presidente della Repubblica. Di Falcone (con molta volgarità allontanato dalla Sicilia anche da forze politiche a quel punto soltanto ciniche) comunque con un capovolgimento di ruoli, Andreotti a Roma ormai avrebbe potuto essere presidente della Repubblica. Si. Il Quirinale “ben valeva una messa” per andare al massimo dei poteri.

La cosa strana è che Ciriaco De Mita, per giustificarsi talune strane contraddittorie posizioni assunte poi in Sicilia, ad un certo punto, Falcone morto, dirà che questo povero magistrato di eccezionale levatura aveva sentito il bisogno prima di morire di andare da lui a dirgli “per simpatia” di confessargli che Lima non era mafioso. Certo, la cosa più strana per un personaggio intelligente come De Mita (molti di noi lo conobbero assieme a Bianco, a Vincenzo Consolo ai tempi della Cattolica) era che non si fosse poi attrezzato per correggersi delle carte dei processi palermitani, dove addirittura si racconta di Lima che va a incontrare Tommaso Buscetta all’Hotel Flora di Via Veneto a Roma per scusarsi che in tutto quel periodo aveva preferito stare quasi ai margini di una sostanziale e consapevole convergenza e non solo di simpatia.

Si, in fondo Hannah Arendt con la sua “banalità del male” è come se anche a noi avesse concesso l’originalità di un lessico politico “ e anche noi potremmo dire che nella politicità di quel giudizio ci sembra di scorgere una sorta di terza via tra storia e filosofia… il suo pensiero ci ha scosso e continua a scuoterci, ad appassionarci: ci piace pensare che a lei avrebbe fatto piacere” (Olivia Guaraldo in Il Novecento di Hannah Arendt, Ombre corte, Verona 2008). D’altra parte la stessa Arendt ci aveva detto: “Non c’è alcun dubbio che il tono che prediligo è primariamente ironico… [e non è comunque…] una menzogna propagandistica malevola”. E ancora “ ne deriva che qui gli uomini si sentono corresponsabioli della vita pubblica in una moisurache, a quel che conosco, non esiste in alcun paese europeo (Hanna Arendt, Karl Jaspers, Carteggio, Filosofia politica, Feltrinelli Milano 1989, pagg 49 – 50).

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