“Ah che bel vivere, che bel piacere” andare a vedere il Barbiere di Siviglia

di Palmira Mancuso  – Scelta azzeccata quella di tornare all’Opera con il Barbiere di Siviglia, una storia che anche i bambini trovano irresistibile, con la più semplice delle trame: l’avventura del conte d’Almaviva che, aiutato dal barbiere Figaro, cerca di conquistare la bella Rosina, figlia dell’arcigno e arretrato Bartolo.

Scandito dagli applausi del pubblico fin dall’ouverture la replica andata in scena domenica, dopo il successo della “prima” del 26 novembre, ha messo in evidenza il siracusano Gianni Giuga, che nei panni di Figaro ha vinto nel 2020 il concorso AsLiCo e che si è esibito nella pomeridiana, mentre le serali vedono protagonista il baritono Massimo Cavalletti che con la sua voce ha conquistato i più prestiogiosi teatri d’opera e festival internazionali.

Il Barbiere di Federico Tiezzi apre la visione ad un Rossini metafisico, riconsegnandogli l’idea di quella rivoluzione della ragione che precede l’epoca dell’opera, e che si era invece piuttosto concentrata sul dinamismo e la pura tecnica della commedia, lasciando ai personaggi una propria caratterizzazione che riporta alle maschere sceniche con la loro funzione dell’astratto.

Sul palco tra i personaggi, c’era senz’altro anche l’orchestra, diretta dal Maestro Giuseppe Ratti, che ha eseguito con rispetto le indicazioni suggerite dalla visione astratta e metafisica al pari delle piazze italiane abitate dall’ombra a cui il regista ha voluto rendere omaggio (Siviglia, come a Pesaro, come a Messina a cui è dedicato il soprendente sipario finale).

La giapponese Aya Wakizono nei panni di Rosina è stata la scelta giusta per sancire, qualora ce ne fosse bisogno, la grandezza di un’opera che ha attraversato secoli e culture per parlarci ancora una volta di una donna affatto languida, ma capace di badare a se stessa e che ci dice “Se mi toccano dov’è il mio debole sarò una vipera”.

Bravo Fabio Capitanucci (don Bartolo), anche se troppo “giovane” per farcelo empaticamente disprezzare nonostante sia il peronaggio negativo, quello che non si fida di nessuno, quello che si affida alla calunnia pur di vincere sui nemici.

Il tenore Didier Pieri ha dato al conte d’Almaviva quel fascino necessario per trascinarci nella trama e soprattutto per affidarci tutti nelle mani del factotum, anche quando la situazione sembra prendere una piega irreparabile.

Ben felici di aver assistito al rito dell’Opera Lirica che si rinnova ad ogni rappresentazione, e che sul palco del Teatro Vittorio Emanuele ha visto un giocoso cameo che vogliamo sottolineare, ovvero l’Ambrogio del messinese Antonio Lo Presti ma soprattutto la presenza in scena del suo cane con il quale ha condiviso simpaticamente l’inchino finale. (foto Rocco Papandrea)

 

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