MESSINA E LA CRIMINALIZZAZIONE DEL DISSENSO: DA QUESTIONE DEMOCRATICA A “PROBLEMA DI ORDINE PUBBLICO”

 

In questi giorni, grazie al bel film di Daniele Vicari “Diaz”, si torna a discutere della più grave e drammatica sospensione dei diritti civili avvenuta in Italia nell’ultimo decennio. L’aggressione sistematica e violenta di un movimento di massa e pacifico da parte delle forze dell’ordine messa in atto nelle ormai storiche giornate del G8 di Genova, nel luglio del 2001. Un evento che sarà ricordato per aver messo sotto gli occhi di tutti un salto di qualità, un mutamento irreversibile in peggio delle modalità con cui le Istituzioni di questo paese si rapportano al dissenso organizzato dei propri cittadini.

Sarà utile tener presente Genova per meglio comprendere la dinamica di fatti a noi più vicini, nonostante le proporzioni innegabilmente diverse.

Neanche due settimane fa, due giovani attivisti di Rifondazione Comunista di ritorno da un’assemblea pubblica della Retenoponte, sono stati fermati da agenti della Digos con un futile pretesto e condotti in questura, dove sono stati trattenuti per ore e- a quanto raccontano- anche insultati e spintonati senza motivazioni e spiegazioni plausibili.

Questa notizia fa il paio con l’altra -più recente- dell’emissione di quattordici denunce a carico di militanti noponte per “blocco ferroviario e interruzione di pubblico servizio” , riferite alla piccola manifestazione di solidarietà con il movimento no TAV del primo marzo scorso. Quando una cinquantina di persone -come è avvenuto in diverse città italiane- hanno espresso la propria vicinanza al popolo della val di Susa camminando da piazza Municipio alla stazione centrale e bloccando simbolicamente per quindici -venti minuti il treno locale in partenza per Catania.

Anche a Messina, città non certo nota per un alto livello di conflittualità- dunque, emerge un “giro di vite” nei confronti di chi vuole manifestare pubblicamente il proprio dissenso riguardo a “certi ” argomenti. Tralasciando le crescenti difficoltà opposte dalla burocrazia degli enti locali a chi vuole usufruire dei locali del Comune per organizzare iniziative e dibattiti o l’ormai costante chiusura dei cancelli del Municipio in occasione delle più disparate manifestazioni di protesta, basterà qui ricordare la presenza sempre meno sottile e discreta di agenti e funzionari della Polizia di Stato nelle occasioni più improbabili- dalla presentazione di libri ai sopralluoghi per un documentario- purché unite dal filo conduttore dell’opposizione al Ponte sullo stretto. Tale zelo da parte delle forze dell’ordine non si è visto in altre occasioni. Non risulta , ad esempio, che siano mai arrivate denunce analoghe a quegli autotrasportatori che, nello scorso mese di gennaio, si sono resi protagonisti di un blocco delle comunicazioni ben più esteso e carico di conseguenze di quello, semiinvisibile, dei Noponte.

Ne dobbiamo dedurre che, agli occhi del Questore di Messina, un treno locale che parte con venti minuti di ritardo è socialmente più pericoloso dei supermercati che si svuotano per via dello sciopero dei TIR?

Un tale sbilanciamento in termini di attenzione e di zelo si spiega in un solo modo. Attraverso l’isteria collettiva che prende politici, opinionisti e “tecnici” quando si parla di TAV. Un’opera elevata dal coro pressoché unanime dei grandi media a simbolo indiscutibile di modernità -al di là di ogni ragionevole dubbio- molto più di quanto sia stato fatto con il Ponte. Una favola che anziché strappare applausi in una popolazione che dovrebbe sentire il peso della crisi economica e della deindustrializzazione, ha suscitato un’opposizione di massa consapevole e motivata.

In tempi di disaffezione per la politica, di disagio spesso vissuto nella solitudine più completa , il fatto che un’intera comunità sappia individuare i propri reali interessi e difenda il territorio dall’assalto di affaristi e speculatori studiando, discutendo in grandissime assemblee ed anche mettendosi in gioco in prima persona e resistendo con coraggio e pazienza quando alla retorica che vorrebbe i valligiani tutti “anarchici” e “sovversivi” si sovrappone la ben più concreta violenza dei manganelli e dei gas urticanti proibiti, ha quasi del miracoloso. Un po’ come ciò che è avvenuto in riva allo Stretto, un territorio da sempre poco avvezzo alla partecipazione democratica, dove un nucleo di attivisti tutto sommato ristretto è riuscito nel tempo a mettere in piedi iniziative che hanno coinvolto nell’opposizione a quello che è stato finora nient’altro che un progetto, porzioni sempre più ampie di popolazione, riuscendo a cambiare sensibilmente il senso comune.

Dunque c’è chi si permette di opporre alla “narrazione” che presenta le grandi opere ( e la precarietà, e il pagamento del debito e i tagli allo stato sociale…) come il necessario pedaggio da pagare ad una modernità, se non desiderabile sicuramente inevitabile e indiscutibile, un’altra “narrazione” che mette radicalmente in discussione quest’assunto. E non si tratta più di piccole e ininfluenti minoranze, ma di un popolo che raccoglie consensi crescenti e il cui punto di vista può diventare maggioritario. Per questo anche una classe dirigente che ostenta il volto impassibile e “neutro” della tecnica si ritrova a ostacolare con ogni mezzo un serio e onesto confronto pubblico sui costi e benefici di opere la cui reale utilità – al di la dei fumi dell’ideologia-resta dubbia e preferisce la criminalizzazione del dissenso, l’intimidazione , lo scontro fisico.

Una grande questione democratica ridotta a mero problema di ordine pubblico. E’ successo durante il G8 undici anni fa, quando l’opposizione alla globalizzazione neoliberista raccolse dietro le stesse parole d’ordine una coalizione che andava dalle suore comboniane ai ragazzetti delle case occupate, succede ancora oggi con gli effetti drammatici della crisi che toccano sempre più persone e incattiviscono il confronto politico e sociale. Lo sanno bene i lavoratori dei cantieri Palumbo , che hanno denunciato mobbing e licenziamenti intimidatori nel più completo isolamento, come pure quei sindacalisti condannati per aver bloccato i cancelli del deposito dell’’Atm durante un episodio della lunga vertenza sul trasporto urbano.

Sarà bene , d’ora in avanti, non sottovalutare simili episodi e non lasciare solo chi li subisce. (TONINO CAFEO)

 

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