OMICIDIO DI MILAZZO: INDAGATO UN CITTADINO DEL BANGLADESH, IL “RAIS” DELLA LOCALE COMUNITA’ ASIATICA

 

C’è un primo indagato nell’inchiesta sull’omicidio di via Rotolo a Milazzo: Babul Miah, 37 anni, cittadino del Bangladesh residente a Milazzo da più di un decennio, tanto da avere un lavoro in una nota concessionaria mamertina.

Gli inquirenti non si sbilanciano ancora sul possibile movente, lasciando trapelare la convinzione che si sia trattato di un delitto maturato nell’ambiente degli immigrati del sud est asiatico.

A sostegno delle accuse vi sarebbero le riprese a circuito chiuso delle vie del lungomare e della zona vicina il ritrovamento, nelle quali si vede chiaramente l’uomo in compagnia della vittima poco prima dell’omicidio. Miah sarebbe dunque l’ultimo ad aver visto e ad essere stato visto con la vittima, intento ad accompagnarlo proprio verso via Rotolo. 

Il riserbo degli inquirenti è comprensibile, essendo l’inchiesta ancora in corso e soprattutto potendovi essere risvolti importanti.

Come da procedura infatti si stanno esaminando le vite dei due protagonisti, vittima e possibile carnefice, e ciò che si scopre fa emergere nuovi interrogativi.

Si comincia con la vittima: Alì era un immigrato giunto a Palermo non molto tempo fa insieme ai due fratelli dediti a suo pari alla vendita di fiori, braccialetti ed altri monili da bancarella; solo da poche settimane si era spostato nel territorio messinese, non avendovi forse quei contatti utili non soltanto a mitigare la solitudine ma anche a sostenersi ed a inserirsi nella locale cellula asiatica. Una persona pulita, capace di sostenere sacrifici enormi per raggiungere l’obiettivo prefissatosi: racimolare alcune centinaia di euro al mese da inviare alla moglie ed ai due figli rimasti in patria. Che dietro l’attività di ambulante non vi fosse null’altro è reso quasi certo dalla vita che conduceva:  per non spendere quelle due o trecento euro di guadagno mensile giungeva a privarsi persino di un tetto, accampandosi ogni notte nelle spiaggette deserte di Milazzo con una coperta e con quei vestiti/cassaforte nei quali custodiva con cura il portadocumenti diventato anche portafogli.

Proprio per questo forse non si è trovato nulla sul cadavere: essendo il movente ipotizzato il furto, ecco che nella fretta sarebbero stati presi anche i documenti. O forse si sperava che non si identificasse tanto facilmente un immigrato arrivato da poco nella nostra provincia. Non v’è da escludere infatti che così come il movente sessuale sarebbe stato un depistaggio, altrettanto potrebbe rivelarsi la sottrazione del poco denaro in possesso della vittima.

Non si esclude nulla ed il certo è questo: Alì adesso non potrà più sostenere la famiglia, e ad essere indagato è un altro immigrato dalle buone condizioni economiche che oltre ad avere due difensori, Saverio Camuto e Filippo Barbera, ha potuto nominare un proprio medico legale ammesso ad osservare l’autopsia eseguita dallo specialista designato dalla Procura. Inoltre Babul Miah  non molto tempo fa ha pagato di tasca propria le spese legali per un connazionale arrestato in seguito al possesso di documenti falsi.

Perché dunque un furto di pochissime centinaia di euro ad un ambulante/senzatetto? Forse qualcos’altro ha guastato i rapporti tra Ali Taj e Babul Miah, ovvero tra la vittima e quello che è considerato dagli altri immigrati dei paesi ad est dell’India come un “capo”, ovvero un “rais”?

Per chi non lo sapesse infatti il Rais è una figura centrale nelle comunità (di varia grandezza) dell’Asia Mediorentale; parola questa usata recentemente in ambito giornalistico per designare persone come Saddam Hussein o Gheddafi, e che in molti pensano sia soltanto un termine arabo.

In realtà la radice è sì semita ma, in seguito alle conquiste arabe giunte oltre l’India, è forse più frequente, col significato di “capo, presidente”, nei paesi di lingua hurdu come Pakistan, Bangladesh, varie province dell’India e persino nelle Figi.

Vi potrebbero essere dunque degli sviluppi futuri proprio a seguito dell’indagine sulla comunità sud-asiatica milazzese, partendo dalla possibile piccola gerarchia instauratasi negli anni tra i suoi membri e dai rapporti ad essa interni.

Per adesso vi è a carico dell’uomo, molto rispettato da tutti i connazionali, solo un’informazione di garanzia, e potrebbe non essere lui il colpevole tanto che è in libertà.

Lo studio delle dinamiche vitali di questa nuova fetta di società milazzese è in ogni caso un lavoro utile, basilare per l’avvio all’integrazione di persone che, come fu per i nostri emigranti di inizio novecento, sbarcano nel nostro paese tramite l’aiuto di cellule di connazionali già insediativi incorrendo poi non di rado in grosse difficoltà ad uscirne, giungendo davvero ad una segregazione culturale lesiva per loro come per la popolazione ospite.

Non sappiamo molto sulla morte di Alì e sui suoi rapporti coi connazionali appena conosciuti ma vi sarebbe, questo è certo, da riprendere in esame l’idea di un attento monitoraggio del territorio e soprattutto della sua società sempre più multiculturale, secondo quanto chiesto da anni dai pochi esperti del settore avviliti dalla consapevolezza che casi come questi potrebbero diventare sempre più rari se si procedesse alla tanto agognata modifica delle attuali politiche di gestione del fenomeno immigrazione, politiche attualmente non solo obsolete ma persino costosissime in seguito all’erogazione di ingenti fondi che, questo è un caso tristemente dimostrativo, di certo non vanno a diventare aiuti agli immigrati davvero bisognosi. (CAR.ME.)

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