LE IDI DI NOVEMBRE: PRIMI OUTING “ONOREVOLI” NELLO SCISMA TRA PDL E FI. PARLA GAROFALO, E IL GRUPPO IN CONSIGLIO COME SI DIVIDERÀ?

Già da decenni, prima ancora della sua “discesa in campo”, il Cavaliere palesa chiari segni di megalomania e divismo. È probabile anche che il suo più roseo auspicio fosse quello di passare alla storia come il “nuovo Cesare”, e ci sentiamo di dire che questo obiettivo potrebbe già considerarsi raggiunto, anche se certamente non nel modo sperato dal signore di Arcore. Caio Giulio Silvio, in comune con l’imperatore della Roma che fu, non ha certamente la competenza strategica militare e neanche quella di tiranno, ruolo che, per quanto i detrattori abbiano cercato di cucirgli addosso – mediaticamente e politicamente -, mai è riuscito a rivestire davvero.

Il comune denominatore tra i due uomini di potere, separati da millenni, è da rintracciarsi in una data, il 15 marzo del 44 a.c., tramandata ai posteri come il giorno del tradimento. Nel 2013 il termine Cesaricidio trova un sinonimo nel neologismo Silviocidio e, tra gli accoltellatori del leader, anche in questo caso figura un figlio adottivo. “Tu quoque Angelino fili mi”, congiurato tra i congiurati. Ma chi è il traditore e chi il tradito? Mica è così semplice addivenire ad una verità oggettiva in questa “controversia familiare”.

Stando a Dante, Bruto e Cassio per quelle tragiche idi di marzo finiranno all’inferno insieme all’altro traditore per antonomasia, il discepolo Giuda che per 30 denari vendette il Messia. Se si guarda ai fatti, però, non si può tralasciare una seconda interpretazione che vede proprio in Cesare il primo vero traditore, della Res Publica e quindi di Roma, giacché – dopo aver sconfitto Pompeo – inizia la sua scalata verso la distruzione dello spirito repubblicano stesso, accentrando sempre più su di sé i poteri, da dictator.

Anche in questo caso, a distanza di 2057 anni e 8 mesi, stabilire chi è vittima e chi carnefice non risulta così facile: in fondo “lo scisma” non è frutto di un distaccamento della costola alfaniana dal movimento del “padre”, bensì l’esatto opposto, è Berlusconi a lasciare “il figlio” per riportare in vita l’ei fu Forza Italia. Di certo c’è solo un dato: la fantasia non è protagonista di questa scena politica che continua a ripescare dall’acquario nomi e simboli triti e ritriti.

Coloro che hanno avuto la sfortuna di trovarsi al centro del vortice in essere sono gli altri parenti: onorevoli, senatori, deputati regionali e perfino i consiglieri comunali che sono chiamati a prendere posizione ora, maledettamente e subito. Tra loro, ovviamente, rientra anche il messinese Vincenzo Garofalo, deputato nazionale eletto in forza al Pdl e membro del triunvirato locale dei fedeli al delfino agrigentino. L’ex candidato allo scranno più ambito di Palazzo Zanca, insieme ai colleghi Mancuso e Germanà, resta infatti con il vicepremier e lo ufficializza in occasione di una conferenza stampa convocata stamane nella sede di via Primo Settembre. Durante l’incontro con i giornalisti, l’onorevole ci tiene a precisare la sua stima nei confronti di Berlusconi, che già in campagna elettorale aveva coraggiosamente ribadito nonostante non fosse la più popolare delle affermazioni, specie in quel particolare momento e contesto. “Berlusconi non è cambiato se non anagraficamente. Ha tentato fino in fondo di tenere tutti insieme ma, tra le anime diverse che si sono generate, ad un certo punto è diventato impossibile”, spiega il deputato. Azioni di responsabilità operate per il bene della continuità governativa: ”anche se la stabilità non è un valore assoluto ritengo sia strettamente necessaria a tenere in piedi un Paese che non merita un salto nel buio (traducibile nell’alternativa di una caduta del governo ed elezioni anticipate, ndr). Abbiamo deciso di mantenere dritta la barra sulle cose per cui abbiamo chiesto il voto. È il ragionamento che ci ha portati a questa scelta. La nostra volontà è rimettere in piedi un movimento che raccolga i consensi, in parte dispersi a causa della sfiducia verso la politica. Non potevamo lasciare orfano di rappresentanza un pezzo di elettorato”, giustifica così la sua posizione, di certo non facile e tutt’altro che assunta a cuor leggero, come lui stesso sottolinea. “Forza Italia è ancora affascinante ma non si può guardare indietro, bisogna andare avanti. L’Italia lo sta già facendo da un po’, scegliendo il bipolarismo, e andrà sempre più avanti nel processo di integrazione europea anche da un punto di vista politico”.

Partito Popolare e Socialista europeo sono i due megacalderoni in cui far confluire tutti i cocuzzari possibili, insomma. “Noi prima di arrivare ad un unico partito di centro destra dovremo aspettare perché ci sono posizioni di leadership diverse. Questa è la vera sfida. La prima battaglia è politica contro antipolitica, un Paese si deve guidare, selezionando le persone giuste e la riforma elettorale muoverà proprio in questa direzione. E la seconda è di rifuggire il populismo. Preferisco fare una battaglia dura, difficile, probabilmente considerata perdente ma a viso aperto, mettendo a disposizione le poche risorse di cui dispongo: nella direzione giusta lo faccio volentieri. Voglio sperare che gli italiani guardino sempre più ai progetti e non alle promesse. Berlusconi ne ha fatte alcune a nome di tutti noi e se oggi non fossimo al Governo non potremmo rispettarle”, chiarisce.

La posizione dell’onorevole Garofalo appare chiara e altresì sofferta a tratti, ma guardando allo scenario nazionale – e ad alcuni suoi colleghi parlamentari in generale – non si può non chiamare in causa il saggio Vico, che parlava di corsi e ricorsi storici: una Dc 2.0 in chiave europeista che mostra, sin dallo stallo di partenza, le sue enormi falle sul piano prima di tutto semantico, infatti il “nuovo centro destra” vede già la coesistenza di diversi punti di vista (Dio benedica la varietà, sia chiaro). Da una parte chi si dichiarava dispiaciuto per l’atteggiamento del Cavaliere, troppo attento ai deliri estremisti di certi destroidi (Santanchè e co.) che evidentemente spostavano l’asse troppo a destra, e per questo giurano fedeltà ad Alfano; dall’altra un’etichetta – “nuovo centro destra”, appunto – che non ha nulla di nuovo e neppure di destra: in compenso è assolutamente forte il significato di “centro”. Insomma, per un motivo o per l’altro “moriremo tutti democristiani”, come direbbe qualcuno, con il particolare che il Giulio, Andreotti non Cesare, che potrebbe mostrare il polso fermo per un remake credibile del partito di Sturzo oggi non è più disponibile.

Chi ci resta? Gli scudocrociati della prima ora, quelli che con il restyling della Seconda Repubblica si sono divisi tra Udc e vari partiti dai loghi alberati e fiorati. Per intenderci, in un futuro non troppo lontano Garofalo, Genovese e D’Alia potrebbero trovarsi esponenti dello stesso grande partito moderato e nessuno ci troverebbe niente di strano a quel punto. Ma ad ora non c’è notizia perché parlare di “se” e di “ma” ha poco senso in un frangente come questo. Un mese fa, quando voci di corridoio volevano più fitti gli incontri tra gli “amici Francantonio e Angelino”, qualcuno diceva “giammai”, qualcun altro “ può darsi”, altri tacevano. Oggi alcuni di quelli che dicevano “giammai” alzano gli occhi e divagano nelle risposte farfugliando qualcosa degno di sottotitoli, altri iniziano a bofonchiare fraseggi all’insegna del “tutto può succedere” e qualche duro e puro, che fino a ieri taceva, corruccia la fronte e fa suo quel “giammai”!.

Non sono fuori dai giochi i consiglieri comunali di casa nostra, anche loro chiamati a fare una scelta in tempi brevi. La presenza all’incontro di oggi di Daniela Faranda e Nicola Crisafi lascia quantomeno presumere una loro presa di posizione netta, in linea con quella espressa da Garofalo. Fermo restando che nessuno ha sin qui fatto un vero e proprio “outing” (cit.), lo schema sembrerebbe configurarsi così: Grifò, Trischitta e Parisi, se i processi deduttivi non sono errati, dovrebbero rientrare tra i “lealisti” e quindi passare con FI, il vicepresidente del consiglio e la collega sopracitati parrebbero intenzionati a restare pidiellini e a questo punto mancherebbero soltanto le posizioni dei due membri di SiAmo Messina che, ad ora, suonano come vere e proprie incognite. Ribadiamo che nulla di ciò si è ancora palesato in modo ufficiale e che tutto è possibile, di certo non vorremmo essere nei panni di chi oggi si trova coinvolto in una frattura che comporta una valutazione simile. Ciascuno ha le proprie ragioni per stare da una parte o dall’altra e c’è da credere che nei prossimi giorni tutti i consiglieri comunali del centro destra spiegheranno le proprie.

Insomma, questa Terza Repubblica si configura come un ritorno alla prima, laddove la Seconda sembra esser servita per cancellare le antiche coscienze e rivalità tra estremisti opposti, abolendo dai dizionari della politica nostrana parole come “comunisti” e “fascisti”, tanto care alle dicotomie degli anni di piombo. E se è vero che è iniziato il “terzo tempo” sembra evidente che oggi siamo tutti un po’ più simili, tutti un po’ più moderati, un po’ più fratelli nell’accezione “cristiana” (kristiané) di “popolo” (démos), e quindi demo(s)-kristiana! (ELEONORA URZì)

Link all’intervista a tutto campo con l’On.Garofalo 

 

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it