Omicidio di Beppe Alfano, una nuova verità. Il collaboratore Carmelo D’amico: “Santapaola latitante a Barcellona prima dell’omicidio del giornalista”. I dettagli delle rivelazioni e gli scenari

di Michele Schinella – Nitto Santapaola? Si nascondeva già a Barcellona Pozzo di Gotto, precisamente a Marchesana di Terme Vigliatore, quando, l’8 gennaio del 1993, il giornalista Beppe Alfano fu ucciso. Era in una villetta almeno sin dall’omicidio del boss Giuseppe Iannello, avvenuto il 16 dicembre del 1992.

E’ questa l’ultima verità raccontata agli inquirenti della Procura di Messina da Carmelo D’amico, boss del mafia della città del Longano e da un anno collaboratore di giustizia. Una verità frutto non di conoscenza diretta ma di quanto gli ha riferito Sam Di Salvo, boss di cui era braccio destro, dopo l’arresto di Santapaola avvenuto in provincia di Catania, a Mazzarone, il 18 maggio del 1993.

La rivelazione di D’amico entra prepotentemente nell’inchiesta sull’omicidio del giornalista, per il quale ci sono in carcere, condannati con sentenza definitiva a 30 anni, Pippo Gullotti, come mandante, e Giuseppe Merlino, come esecutore materiale e nel Processo sulla presunta Trattativa Stato- Mafia, in corso di svolgimento a Palermo.

SUGGESTIONI

Offre, infatti, linfa a quella che negli ultimi anni è stata la tesi sostenuta dal legale della famiglia Alfano, Fabio Repici: “Il giornalista Alfano è morto perché aveva scoperto che a Barcellona si nascondeva il boss dei boss, in quel periodo sotto la protezione di alcuni uomini delle Istituzioni impegnate nella trattativa con la mafia”.

Una tesi che è stata alimentata dal sostituto della Procura di Barcellona Olindo Canali, il quale aveva condotto le indagini sull’omicidio, chiedendo ed ottenendo, sulla scorta delle dichiarazioni decisive del collaboratore Maurizio Bonaceto, la condanna di Gullotti e Merlino.

E’ stato infatti Canali a scrivere nel 2006 due memoriali.

Uno di tre paginette, detto Il “Testamento”, affidato al giornalista Leonardo Orlando, con cui aveva un rapporto di fiducia,  gettava forti dubbi sulla verità processuale dell’omicidio Alfano. Il “Testamento” doveva essere pubblicato solo in caso di arresto del magistrato brianzolo. Invece, cominciò a girare per gli studi dei legali della città del Longano qualche giorno dopo.

L’altro, molto più lungo, inviato, invece, al legale Fabio Repici, con cui Canali intratteneva all’epoca buoni rapporti, dava conto del fatto che Alfano qualche tempo prima di morire gli aveva confidato che “Santapaola era in zona”.

I due memoriali sono stati portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria agli inizi del 2009: tre anni dopo.

Successivamente, Olindo Canali,  sentito in pubblici processi ha confermato: “Intorno al 20 dicembre 1992, Alfano mi disse: “Quando ritorna dalle vacanze natalizie, le saprò dare notizie più precise. Le dirò dove si trova Santapaola”.  I due non si videro più. La sera dell’8 gennaio 1993, Alfano fu ammazzato a piazza Marconi. Qualche minuto prima aveva accompagnato la moglie a casa. Scorgendo qualcosa in lontananza le disse: “Chiuditi in casa. Tra un po’ torno”. Alfano salì  sull’auto: fu trovato a bordo della stessa poco tempo dopo.  Esanime. Un colpo di pistola calibro 22, sparato a bruciapelo attraverso il finestrino abbassato da qualcuno con cui si era fermato a colloquiare, aveva fermato la sua vita. Da cosa e da chi si era fatto attirare?

LA NOVITA’

La rivelazione di D’amico mette in crisi il dato processuale che sino a questo momento si era affermato: Santapaola si era nascosto si a Barcellona, protetto da Sam Di Salvo, Aurelio Salvo e Mimmo Orifici, ma in epoca successiva all’omicidio del giornalista.

Gli inquirenti dei Ros hanno certezza della sua presenza a Barcellona il 5 aprile del 1993. Quel giorno nella pescheria di Mimmo Orifici e Sam Di Salvo viene captata un’intercettazione ambientale di una conversazione in cui  si sente parlare di “zio Filippo” come di quello che è appena andato via. Dal tenore della conversazione si capisce che questi altri non è se non Santapaola. Nella stessa occasione i due parlano di zio Filippo come di uno che è lì a Barcellona da due mesi, due mesi e mezzo. “…iavi chi è ccà, acchi du’ misi, du’ misi e menzu no…”,. Alcuni collaboratori poi raccontarono che Santapaola era stato spostato a Barcellona dopo che si diffuse la notizia dell’inizio della collaborazione con l’autorità giudiziaria  di Claudio Severino Samperi, datata 6 gennaio 1993.

TESI DA PROVARE

Tuttavia, la tesi che Alfano sia stato ammazzato perché aveva scoperto la presenza di Santapaola a Barcellona è tutta da dimostrare. Il fatto che D’amico abbia dichiarato che Santapaola fosse a Barcellona in quel periodo e che dunque Alfano avesse avuto una giusta intuizione non significa che il collaboratore abbia pure detto che è stato ammazzato per questo.

Infatti, la ricostruzione da parte del collaboratore del movente e della dinamica dell’omicidio Alfano, al vaglio scrupoloso degli inquirenti, è ancora top secret.

D’altro canto, da quanto dichiara D’amico il covo di Santapaola era lontano tre chilometri dalla casa di Alfano e difficilmente quella sera dell’8 gennaio 1993, Beppe Alfano è stato attirato dalla presenza del boss, a zonzo in centro città, come pure si è ipotizzato.

Allo stesso modo, la dichiarazione dell’ex boss sulla presenza di Santapaola a Barcellona non significa che la latitanza del boss sia stata protetta da uomini delle istituzioni nell’ambito della Trattativa tra lo Stato alla mafia, che secondo la Procura di Palermo ci sarebbe stata per fermare le stragi mafiose del 1992. Né, tantomeno, che la Trattativa ci sia stata davvero e sia penalmente rilevante.

Un primo processo a carico del generale dei Carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di aver favorito – sempre nell’ambito dello stesso disegno della Trattativa – la latitanza di Bernardo Provenzano, si è concluso con l’assoluzione dei due ufficiali dei carabinieri e la bocciatura della tesi dei pm.

IL TEOREMA DELLA TRATTATIVA

Carmelo D’amico, anzi, ha depotenziato la valenza di uno degli episodi entrati nel processo Trattativa come prova della stessa: l’inseguimento con sparatoria da parte di alcuni uomini del Ros (tra cui il Capitano De Caprio “Ultimo” e Giuseppe De Donno), di Fortunato Imbesi. Il 6 aprile 1993, il figlio dell’imprenditore Salvatore Mario, uscendo a bordo della jeep dalla villa di famiglia di Marchesana, a pochi passi dalla villetta dove era nascosto Santapaola, non si era fermato all’alt dei carabinieri: uno di questi, il brigadiere Mangano, lo aveva scambiato per il latitante Pietro Aglieri. L’inseguimento, nel corso del quale De Caprio aprì il fuoco, si concluse solo per caso con Imbesi incolume.

Secondo la Procura di Palermo, che ha fatto propria la tesi di Fabio Repici, l’inseguimento fu una messiscenza dei Ros per avvisare Nitto Santapaola che era stato individuato e garantirgli la libertà. Il giorno prima da Barcellona il comandante dei Ros di Messina, Giuseppe Scibilia, aveva avvertito il comandante Mario Mori dell’intercettazione della pescheria da cui risultava la presenza di Santapaola in città.

Carmelo D’amico sul punto infatti ha dichiarato che parlò della vicenda con Sam Di Salvo che gli disse che era una cavolata e che la stessa vicenda non aveva nulla a che fare con la latitanza di Nitto Santapaola.

IL RACCONTO DI D’AMICO SU SANTAPAOLA

carmelo_damicoCarmelo D’amico (nella foto) ha raccontato che Santapaola durante la sua permanenza a Barcellona fu ospitato nella villetta di Domenico Orifici, a Marchesana di Terme Vigliatore, di fronte al Bar Hotel il Gabbiano. Accanto c’era la villa di Salvo Aurelio, cognato di Orifici. Orifici, Salvo e Sam Di Salvo hanno curato la latitanza di Santapaola. D’amico ha riferito ancora di non saper dire con precisione quando arrivò a Terme, ma di sicuro c’era già quando fu commesso l’omicidio di Pippo Iannello. Nell’occasione lui e Sam di Salvo andarono nella villa a portare le pistole e le divise della società del gas ai due catanesi incaricati di eseguire l’omicidio. D’amico non vide Santapaola perché questi si rifugiò in una stanza non volendosi far riconoscere. Fu Di Salvo che gli raccontò tutto questo quando Santapaola fu arrestato. Prima non seppe nulla. Santapaola è stato sempre tenuto a Marchesana. A D’amico non  risulta sia mai stato nell’ abitazione sopra la pescheria di Di Salvo e Orifici, ubicata vicino casa di Beppe Alfano e dove fu arrestato Pippo Gullotti qualche anno dopo. (tratto da www.micheleschinella.it)

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