Messinesità #adminchiam – Messina e le cose che sa fare

di Simone Bertuccio – “Sai, figliolo, un giorno ho marcato Schillaci”. Non so se avrò mai figli, non so se mi sposerò, non so nemmeno se stasera mangerò, ma credo che questa sia una frase che in testa mi balenerà per un po’. Dire ad un figlio, un nipote, un pronipote, di aver marcato Schillaci. Dirgli di averlo fatto durante una manifestazione sportiva di beneficenza dal titolo “Un calcio all’indifferenza… Insieme si può” voluta fortemente dalla Lelat e a cui Messina ha detto presente.

Andiamo con ordine e senza scontati moralismi. Io ho giocato contro Schillaci, diamine, su un campo che è stato l’ultimo palcoscenico dell’ultima serie A del Messina. Di Schillaci me ne parlava il nonno ed in effetti non ho avuto molta fortuna nel riuscirne a osservarne le gesta sportive durante i suoi prolifici anni di attività agonistica. Durante i mondiali delle “notti magiche” avevo poco più di 2 anni. Ricordo di averne visto qualche azione però negli anni successivi, in Tv, alla Juventus e all’Inter. Di Schillaci, dell’euforia scatenata dalle sue prestazioni, di ciò che si portava dietro il ragazzo che a Messina aveva dato tanto, se ne percepivano i lasciti nei volti dei miei parenti, per casa, per strada. Era quello che aveva lasciato qui a Messina che mi faceva percepire, seppur non l’avessi mai visto giocare, che importanza avesse avuto per la mia città.

Ieri non ce l’ho fatta. Ho dovuto stringergli la mano sul campo chiedendogli, quasi sommessamente, il permesso. Lui, quasi prendendomi in giro per quel mio timido approccio, me l’ha concesso con la semplicità di un qualunque conoscente di quartiere che non vedi da tanto tempo e che è felice di essere tornato nella terra natia, che è felice di vederti, in quanto messinese.

Tutto avrei pensato, tranne che la manifestazione che si è svolta ieri allo stadio Franco Scoglio – ormai ex San Filippo – riuscisse in questo modo. Attenzione, non che ne dubitassi in un certo senso, ma ha superato ogni mia aspettativa.

Messina ieri ha partecipato in un modo bellissimo e quando ieri son entrato in campo insieme alla compagine di cui faccio orgogliosamente parte da due anni – la squadra dei Giornalisti di Messina – con tuta, occhiali da sole, nemmeno fossi un veterano del calcio internazionale che va ad “assaggiare” le condizioni del campo prima del calcio d’inizio, è iniziata a balenarmi in testa una sola frase: perché non capitano più spesso queste giornate? Me lo son chiesto davvero tantissime volte. Sia all’ingresso allo Stadio, sia quando per i corridoi vedevo la felicità degli addetti ai lavori come gli Stewart, i fotografi, gli organizzatori, il personale della Protezione Civile. Me lo son chiesto quando tutto questo entusiasmo sono riuscito a percepirlo negli occhi di tutti quelli che avevo, fino al momento in cui ho semplicemente riposto il borsone negli spogliatoi, incontrato.

Poteva essere solo eccitazione del momento. Ne ho presi di calci giocando in cortile ma pensare di ritrovarsi sullo stesso rettangolo di gioco con calciatori come, tra gli altri, Catalano, Schillaci, Pippo Romano, il mio mito Enrico Buonocore, Di Napoli, Coppola, Mimmo Cecere, Leo Criaco…, ti destabilizza un po’. Ripensi a quando allo stadio, al mitico “Giovanni Celeste”, ci andavi col nonno che parcheggiava l’auto a circa 1 chilometro di distanza, al fatto che si ritrovava sempre con lo stesso amico che non rivedeva mai se non esclusivamente il giorno della partita, al fatto di averlo visto dal vivo quel gol di Buonocore al Palermo, al fatto di aver visto dal vivo quanto fosse pericolosa la sassata di Leo Criaco.

Ci pensi, è normale. Ma mi sbagliavo. Non era solo questo. Perché appena ho messo piede sull’erba e ho visto tutti quei ragazzini appartenenti alle Scuole Calcio fare gli slalom, giocare tra i birilli seguiti dai loro istruttori, cercare di far gol nelle piccole porte create con i birilli, la domanda si faceva sempre più presente. L’entusiasmo è stato travolgente ed è bello credere a come lo sport riesca a farsi veicolo di divertimento nel modo più puro e anche costruttivo.

La giornata di ieri ha messo insieme tutto quello che poteva far sì che un bambino, ma anche un ragazzo e un adulto, tornasse a casa contento, divertito, entusiasta, di aver partecipato ad un evento che portava l’anima dello Sport ad essere principale sponsor di un atto di solidarietà: aiutare la Lelat a raccogliere fondi per combattere la tossicodipendenza.

E così sul campo, tra bambini sorridenti che danno quattro calci ad un pallone con una splendida e pura devozione al Gioco nel senso più bello del termine, tra la Nazionale Attori, tra la Squadra delle Vecchie Glorie del Messina, tra i miei compagni di squadra, una tribuna gremita, colorata e sorridente, tra Natale Munaò – storico speaker del Messina –, tra Ninni Bruschetta che da un benvenuto a tutti, ci si è abbandonati a quella che per molti sarà una giornata indimenticabile.

Io, sinceramente, non so cosa potessi desiderare di più. Probabilmente che le docce fossero calde e non tiepide, che ci fossero più palloni disponibili sul rettangolo di gioco qualora uno di questi fosse stato “arroccato” sugli spalti ma, pensandoci bene, chi se ne frega. Sono dettagli che lì per lì possono anche far lamentare qualche ospite ma sono cose che ci stanno. Sono dettagli comprensibili perché Messina è una città che è all’altezza ma su cui si punta poco, si da poca fiducia, come, in fondo, per tantissime altre cose. Manca la padronanza o quella continuità che possa far sì che ci sia un certo feeling, familiarità, con questo genere d’iniziative.

Ma poco male. Messina ieri si è misurata con se stessa ed è riuscita, come sempre accade in questi casi, a manifestarsi nel modo migliore, superandosi grazie ovviamente a tutti i suoi partecipanti, messinesi e non, sportivi e non, addetti ai lavori o semplici paganti.

I messinesi ieri hanno soffiato forte sull’anima della propria città; anima che è un fuoco e che, come tale, arde di una passione incontrollata, spesso tiepida, spesso spavalda ma così meravigliosamente imprevedibile e Superiore.

E ora so che il mio racconto inizierà così: “Sai, figliolo, ho marcato Schillaci. E durante una bellissima esperienza di solidarietà”.

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