Unime stregata dalla Cina: firmato a Pechino accordo di cooperazione con la Beijing Jiaotong University

L’Università di Messina ha deciso di firmare un accordo di cooperazione a Pechino, siglato dal Prorettore all’internazionalizzazione, prof. Antonino Germanà, e dai vertici della Beijing Jiaotong University. “La BJTU è una delle principali università cinesi – scrive l’ufficio stampa di Unime –  I suoi dipartimenti sviluppano ricerca in campo umanistico e delle scienze e tecnologie”.
La delegazione di Unime, composta anche dal prof. Giuseppe Ioppolo, docente del Dipartimento di Economia, è stata accompagnata dal dott. Federico Antonelli, consigliere giuridico dell’Ambasciata italiana.
Al centro dell’accordo, il futuro scambio di studenti e la collaborazione nel campo della ricerca.
“Questo rappresenta il primo dei numerosi accordi – ha detto il prof. Germanà -che verranno siglati nei prossimi mesi al fine di implementare rapporti didattici e di ricerca per creare un network internazionale ed ampliare la possibilità di partecipare ai futuri bandi per l’assegnazione di fondi di ricerca. Con questi accordi, inoltre, ci sarà la possibilità di attrarre  studenti  cinesi che potranno frequentare i nostri Corsi di Laurea magistrali”.

Che ben vengano gli accordi internazionali: certo parlare di ricerca in campo umanistico per uno stato che altera le verità storiche anche attraverso la sistematica censura di tutte le versioni internazionali del motore di ricerca Google (per esempio nel 2014 rendendo inaccessibili le ricerche in occasione del 25esimo anniversario delle proteste di Pechino, insieme a migliaia di altri siti locali e internazionali) e che manipola il web (bloccando facebook, twitter e altre piattaforme) per impedire la formazione di gruppi d’opinione, ci smorza l’entusiasmo che invece sembra aver contagiato i vertici del nostro ateneo.

L’ultima clamorosa censura è avvenuta proprio in questo mese di luglio, intorno alla morte di Liu Xiaobo, il dissidente eroe di Tienanmen e Nobel per la pace nel 2010. L’attivista era malato da tempo di cancro al fegato. Aveva 61 anni. Nel 2009 era stato condannato a undici anni di carcere con l’accusa di «incitamento alla sovversione». Un letterato che di certo non troverà posto nei testi accademici, e la cui vedova è agli arresti domiciliari nonostante gli appelli di Stati Uniti e Unione Europea.

La lunga marcia del capitalismo rosso continua, con investimenti che puntano a università e moda italiane. E questo accordo ne è una ulteriore prova. Ma la perdita di libertà di ricerca nelle università cinesi è un fatto, con cui ci auguriamo che i nostri accademici abbiano fatto i conti. (@Pal.Ma)

 

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