Amore e morte al Vittorio Emanuele, la Carmen di Bizet commuove

di Palmira Mancuso – C’è voluta fiducia e l’esecuzione del secondo atto per rimanere in Teatro, fino a farsi trascinare in un crescendo di tensione espressiva e tecnica, che certamente si è rivelata nel corso della rappresentazione di questo classico dell’amore e della morte che trova radici profonde nella cultura mediterranea. Forse l’emozione della “prima” ha tradito le aspettative del pubblico che però non ha mancato di regalare un lunghissimo applauso al cast della Carmen di Bizet, al debutto ieri sera in un teatro gremito, grazie anche allo sforzo della direzione artistica del Vittorio Emanuele che ha proposto il copione originale, affidandolo alla regia di Renato Bonajuto.

carmen3Disarmante l’orchestra diretta da Carlo Palleschi: gli ottoni, (fortunatamente solo all’inizio) hanno conferito un che di bandistico all’esecuzione, e a tratti le voci sono state coperte, fino a raggiungere una armonia tra musica e canto che al terzo e quarto atto hanno restituito tutta la potenza e la bellezza dell’opera, facendo dimenticare la “freddezza” e l’empasse delle prime note.

Brava Anna Maria Chiuri mezzosoprano nel ruolo di Carmen, convincente e sempre dentro il personaggio, come brava anche Chiara Mogini soprano nel ruolo di Micaela: entrambe hanno scalzato per presenza scenica e voce i due protagonisti maschili. Il tenore Azer Zada è stato un Don Josè possente ma non sempre avvincente, il baritono Lisandro Guinis un Escamillo dai toni poco sanguigni.

Importante e ben contestualizzato il coro lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta: solo gli uomini all’inizio hanno steccato, ma dal secondo atto, complici anche le ragazze, hanno raggiunto un ottimo livello.

carmen1Bravissimi i piccoli cantori, le “voci bianche” del coro “Bianco Suono” diretti da Agnese Carrubba, perfetti dalla prima all’ultima presenza in scena.

Nel complesso lo spettacolo è stato piacevole, grazie anche alle soluzioni di regia che nelle scene corali hanno rievocato l’atmosfera andalusa, con mantille e nacchere che si sposavano con l’eleganza dei modi della Parigi conosciuta da Bizet, con quella libertà di costumi, con quella visione della donna ribelle e moderna, che in Carmen trova un epilogo tragico, che oggi chiameremmo femminicidio.

Un allestimento che val la pena premiare, con la presenza e l’attenzione che meritano gli sforzi di chi lo ha reso possibile.

Un ritorno della lirica al Teatro Vittorio Emanuele che ci ricorda antichi fasti, come  testimonia anche il ben curato libretto di sala, che in un contributo firmato da Giovanni Molonia ripercorre la storia della Carmen sullo Stretto, che esordì in lingua italiana il 18 dicembre del 1886, nove anni dopo la prima rappresentazione all’Opèra Comique parigina.

Carmen è un’opera moderna e intensa, un inno alla vita e alla ribellione, nel rivendicare la sua scelta di amare senza compromessi. E la morte, allora, è l’estrema difesa di questa coscienza di donna libera, che certamente ha anticipato temi attualissimi. Bizet, probabilmente, oggi non avrebbe permesso a Don Josè di punire il rifiuto di Carmen con il sangue. Ma l’arte, si sa, nulla ha a che vedere con il politically correct. Ed è eterna per questo.

Le repliche saranno l’11 febbraio 2018  alle 17,30 e il 13 febbraio alle 21

 

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