Luciano Armeli Iapichino, una “voce stonata” siciliana

di Calogero Giallanza – Ho incontrato molte “voci” nel corso della mia carriera di compositore e flautista … Voci di culture che, a varie latitudini, danzando con il flauto, hanno incarnato nei cuori delle platee l’universalità della musica. Oggi vorrei soffermare l’attenzione su un’altra voce. Perché è necessario! Una voce che giunge da una terra a me cara, tanto musicale e profonda, tanto sensuale e millenaria, tanto assolata quanto insidiosa: la Sicilia.

E la voce è di un intellettuale, che stona! Stona proprio! In un coro di prime donne e omertosi travestiti da saggi senza sustanza, questa voce stona! È quella di un siciliano “sanguignu” diremmo, inquieto dinanzi a quel bellissimo e smisurato patrimonio artistico che pare, come paventava Tomasi di Lampedusa, fatto di bellissimi monumenti […] che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti. Inquieto! Perché se nella terra in cui il mito ha costruito la sua immortalità, la natura ha voluto imitare l’Eden del Creatore e l’arte ha eretto le sue dimore, le cose non vanno, allora, per chi vive di sensibilità e di speranza, l’inquietudine non manca.

E’ questo è il caso di Luciano Armeli Iapichino, scrittore e opinionista che nella giungla delle aberrazioni sociali e siciliane, qualche battaglia l’ha portata avanti nell’anonimato riservato sempre a coloro che danno fastidio. Più di cento presentazioni dei suoi libri, in lungo e il largo per la penisola a dare battaglia come nel teatro dei pupi e pochi ne parlano. Molti lo seguono. Un impegno non addomesticabile, il suo, di denuncia, di stanchezza, di urlo.

Una voce che “stride” laddove l’accidia, la rassegnazione dei tanti, le furbate dell’arroganza, hanno ripudiato “il futuro” anche nel cuore della gente perbene oltre che nel codice linguistico. E se quello di un intellettuale e opinionista, come Armeli, che riesce a subodorare l’ostacolo criminale che impaluda le speranze di una terra, o di un medico, o di un’area montana gestita da colletti bianchi e criminali, passa per inascoltato o inosservato lucido delirio – dal titolo del suo ultimo saggio – che naufraga nell’indifferenza o nell’impotenza dei tanti, fa nulla …

Del resto a sunata, per restare in tema è sempri a stissa: iddu sa canta e iddu sa sona, però le platee sono sempre piene, anche se u sonnu piaci. Quella voce, e non è la sola, c’è! E lentamente si annida nelle coscienze di chi ancora, nonostante i muri omertosi risultino troppo alti, crede ancora di poterli scalare per affacciarsi su un orizzonte di Sole. In una terra in cui la cultura sgomita nel trovare la sua naturale rappresentazione per il mero fatto che si gestisce senza struttura culturale; in una società in cui il verbo fare è stato sostituito definitivamente con quello di “arrancare” e le storie di mattanze – non quelle delle tonnare che vantano pure un’antica tradizione – se non per i “pasdaran” dell’antimafia diventano sole cerimonie e passarelle, “il muto sbraitare” di pochi intellettuali – e Armeli lo fa da un decennio circa – rimane l’ancóra di salvezza di chi nella terra di Verga, Pirandello, Quasimodo, Lucio Piccolo e company, vive e sopravvive e per chi ancora ci ritorna nell’arsura agostana tra le medine dei borghi e i fondali delle sirene.

La linea tracciata da questo “topo da biblioteca” che urla cose terribili non è solo nel solco del misfatto … racconta anche storie di riscatto, di speranza, di possibilità ancora non moribonde, con il velato e smisurato amore per una cultura senza tempo. E non fa nulla se spesso tutto pare vanificato dal nulla accadere …

Le parole sono pietre … e prima o poi il bersaglio giusto viene centrato… anche quello che amplifica gli sforzi consumati nelle anonime terre meridionali, nelle notti davanti a una tastiera… Per buona pace di tutti. “Don” e “mediocri” compresi…

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