Nino Calarco. Giornalismo e messinesitudine. Il ricordo di Giuseppe Loteta

E’ morto ieri Nino Calarco, direttore per quaranta anni (dal 1968 al 2008) della Gazzetta del Sud di Messina. Eravamo coetanei e amici da sempre. Parecchie cose ci trovavano in disaccordo, a cominciare dalla politica e dal ponte sullo Stretto, di cui Calarco è stato uno dei primi e più autorevoli sostenitori, mentre io ritenevo – e continuo a ritenere – che sarebbe un inutile e tardivo massacro ambientale.

Ma in comune c’era, intensa, la messinesitudine, cioè l’amore, certamente critico, ma sconfinato e costruttivo, per la nostra città. Nino aveva due fratelli maggiori comunisti, Gigi e Tanino, impegnato quest’ultimo nel sindacato, mentre lui ha seguito una strada politica diversa (é stato senatore dal 1979 al 1983, indipendente nelle liste della Democrazia cristiana), ma mai ostile al dibattito e al rispetto delle opinioni altrui. Nel 1968 fece parte di una numerosa delegazione di giornalisti al seguito del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, in visita in Jugoslavia al presidente Tito.

C’ero anche io. E c’erano i direttori di testate giornalistiche del calibro di Italo Pietra (Il Giorno), Sandro Perrone (Il Messaggero) ed Enrico Mattei (Il Tempo). stupiti al vedere il giovane collega di fresca nomina direttoriale, quando non si diventava direttore di un quotidiano se non si erano superati i cinquanta anni. Negli anni della sua direzione ho collaborato alla Gazzetta con storie e ricordi di una Messina oggi scomparsa.

Particolarmente gradito il suo invito a scrivere come la pensavo su una una brutta storia giudiziaria che aveva coinvolto – innocente-il professore Giuseppe Longo, mio cugino. “Ma guarda che sarà un pezzo di parte”, gli dico. E lui: “Scrivi quello che ti pare”. Grazie, Nino.

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