DJANGO UNCHAINED: PIU’ CHE SPAGHETTI WESTERN, UNA PASTASCIUTTA

 

Prima di parlare di Django Unchained credo sia opportuno spendere due parole su Quentin Tarantino e chiarire un paio di cose sull’ex enfant prodige statunitense.

La prima cosa da dire è che Tarantino non è un genio, non lo è mai stato e non ha mai girato capolavori. Tarantino è bravissimo a riproporre in chiave citazionista, moderna, vintage (dipende dai momenti) un certo tipo di cinema che spazia dal cinema anni 70 al cinema orientale, restando però entro i confini del cosiddetto cinema di serie B: oggi pochissimi registi hanno la sua abilità tecnica, ma questo non fa di lui un genio.

C’è stato un momento nella carriera di Tarantino in cui avrebbe potuto usare la sua straordinaria capacità registica per intraprendere una strada che lo avrebbe fatto diventare un autore a tutti gli effetti; dopo il brillantissimo esordio de Le Iene e l’exploit di Pulp Fiction, dirige Jackie Brown, che ad oggi rimane il suo film più riuscito.

Il difetto più grande del suo cinema è che non ha mai messo la sua  abilità nel creare epicità, scene memorabili, personaggi favolosi, al servizio della storia,  piuttosto ha sempre usato le storie come pretesto per mettere su schermo epicità, scene memorabili e personaggi favolosi; e se in condizioni normali questo sarebbe un delitto, nel caso di Tarantino diventa un difetto perdonabile perchè in effetti tutti i suoi film, bene o male, risultano piuttosto divertenti (a parte il caso di Grindhouse – Death Proof, che rappresenta un’eccezione, fino ad oggi almeno).

Finito il preambolo, passiamo al tanto atteso Django Unchained: il film, che nelle intenzioni sarebbe dovuto essere un omaggio agli  spaghetti western (quando insegnavamo agli americani a fare film!!!!), in realtà fa acqua da tutte le parti, ed è difficile trovare qualcosa di azzeccato.

Il film è scritto male: a parte Django (la D è muta) che, fino ad un certo punto, ha un buon motivo per fare quello che fa, gli altri personaggi agiscono totalmente a caso; manca un villain degno di questo nome: Leonardo Di Caprio abdica dal suo ruolo di cattivone troppo presto lasciando che il film si trascini verso il finale in maniera stanca e pesante. Ad aggravare tutto questo è l’inaudita (perchè immotivata) lunghezza del film: per quello che si è detto e si è visto sullo schermo sarebbe potuto durare una quarantina di minuti in meno.

Dimentichiamoci i dialoghi memorabili degli altri film di Tarantino: qui si straparla senza ottenere alcun risultato nè nell’avanzamento della storia nè in termini di figaggine; sfido chiunque di voi a ricordarsi uno dei dialoghi del film uscendo dalla sala, cosa che non accade negli altri lavori scritti da Tarantino.

Anche dal punto di vista della tecnica registica, che sarebbe il suo punto forte, ci sono delle cose incomprensibili: stili diversi che si accavallano senza apparente motivo e soprattutto in maniera poco armonica, il che trasmette in certi momenti una sensazione di fastidio; totale mancanza di epicità: i rallenty sono stucchevoli se non inutili; la scena d’azione clou del film è lunghissima oltre che, a tratti, ridicola. L’impressione, visto che si parla di Tarantino, è che lui pensi: “io faccio quello che mi pare, tanto son Tarantino e a voi il film piace a prescindere“; insomma, mi son sentito preso per il culo.

Ci sono pecche anche sulla temporalità degli eventi: atroce il flashback durante l’assalto del Ku Klux Klan, fatto con uno stile che non ritroviamo in nessun altra parte del film, e che, quindi, ci porta a non comprendere appieno quale sia il tipo di linguaggio e, a parte tutto, la scena in sè risulta brutta esteticamente.

Jamie Foxx non ha carisma e Christoph Waltz è ridicolizzato dal ruolo che gli hanno cucito addosso: il suo personaggio emula,ma senza alcun successo, la gigioneria del colonnello Hans Landa. Si salvano Leonardo Di Caprio che ci diverte (e si diverte)  a fare lo stronzetto e Samuel L.  Jackson che ha il ruolo migliore del film, e che se fosse stato approfondito un po’ di più, sarebbe potuto essere memorabile.

Infine le musiche: a parte il tremendo rap che esplode ad un certo punto del film, tutto è azzeccatissimo (almeno quello). E’ stato bello risentire alcune delle musiche che hanno fatto grande il genere western made in Italy: le uniche cose davvero western del film.

Rimane l’amaro in bocca per un film molto atteso e lo scandalo (almeno da parte mia) di vederlo candidato agli oscar nella categoria più prestigiosa (e non vedere Moonrise Kingdom, per dire).

Alla fine mi consolo pensando che il Django di Sergio Corbucci con Franco Nero che va in giro trascinando una bara fa le scarpe a Tarantino. (UMBERTO PARLAGRECO)

(Voto 3/10)

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