“L’ICONA: BELLEZZA CHE UNISCE” : ARTE E TEOLOGIA, IL PERFETTO EQUILIBRIO TRA IL VISIBILE E L’INVISIBILE

 

Aprile e Maggio sono sicuramente i mesi dedicati all’arte specialmente iconica, dal momento che presso il Museo Regionale di Messina fino al 26 Maggio è possibile visitare le icone, che prima del tragico evento del terremoto del 1908, appartenevano alla Chiesa di S. Nicolò e oggi sono custodite nel Museo di Atene. L’incontro L’icona: la bellezza che unisce, organizzato dal Movimento Apostolico, dalla Pastorale ecumenica ed interreligiosa della Diocesi di Messine e dai Giornalisti Cattolici della sezione di Messina, si è prefissato il compito di analizzare la potenza dell’immagine e di porsi nella speranza di una riflessione come momento di preghiera per un’ apertura al trascendente. Ha moderato l’evento, svoltosi presso la Chiesa dei Catalani, don Gesualdo De Luca, docente di Teologia Sistematica presso l’I.T.C. di Catanzaro, che ha sottolineato come l’icona rappresenti una forza, una potenza dirompente perché capace di parlare attraverso un linguaggio universale per secoli.

La dott.ssa Paola Saladino, responsabile del Movimento apostolico, ricordando l’anniversario del Concilio Vaticano II, ha focalizzato il centro di un tale incontro nell’interesse ecumenico, per due motivi principali: l’attenzione alla riflessione di respiro occidentale quanto orientale, già operata da Papa Francesco, e il ritorno “a tempo determinato” a Messina delle icone della Chiesa di S. Nicolò che rappresentano una memoria ancora viva, dal momento che «un popolo senza storia non può prospettarsi né nel presente, né nel futuro».

Il Vicario Generale, monsignor Carmelo Lupò, si è dimostrato entusiasta di essersi trovato davanti ad una Chiesa gremita, espressione della bellezza che unisce: «In questo momento di grande tristezza, abbiamo bisogno di qualcosa di bello. Il soggetto che oggi ci sta unendo è Dio. Esiste, però, anche una bellezza che non appare: è quella del proporsi, del dialogo, dell’incontro che fanno che sì che un tale momento di confronto».

La dott.ssa Renata Rossi, cultrice di iconografia, ha mostrato, attraverso un interessante intervento dal titolo Icona, finestra aperta sul cielo, le coordinate fondamentali della storia iconografica. Partendo dalla considerazione che la nostra epoca è l’era dell’immediato, della perversione e persuasione dell’immagine, l’ “imperialismo” finora segnato ha soltanto ridotto il valore del pensiero. La genealogia di una storia delle immagini risale, infatti, ai Padri della Chiesa, che hanno visto nelle icone l’espressione dell’incarnazione di Dio nel suo Figlio, confinando all’idolatria tutte quelle altre rappresentazione che erano connesse alla mera finitezza umana. «La vera posta in gioco, secondo me, – ha dichiarato la dott.ssa Rossi – è la libertà dell’uomo. Dobbiamo pensare tutta questa tradizione iconografica come una relazione tra il visibile e l’invisibile. L’immagine, infatti, non ha soltanto un valore intellegibile, ma anche emotivo, “viscerale”, dal momento che Dio cerca di neutralizzare il campo dello scontro delle nostre passioni per poterci elevare a Lui. Non a caso le icone ritraggono la Madonna, Cristo, i Santi, per aprire una finestra contemplativa, di luce, il cui unico sguardo è rivolto all’osservatore: questa è anche la ragione per la quale il colore dominante di tali opere sia l’oro, scheletro ontologico dell’immagine». Altro punto fondamentale, toccato durante l’intervento della Rossi, riguarda la contrapposizione maschera/sguardo. Tra di essi vi è il volto, definito dalla Rossi «forma – formante», che è la manifestazione della realtà che vediamo, ed ha a che fare proprio con il celebre passo biblico della creazione dell’uomo “ad immagine e somiglianza di Dio”. La maschera, invece, è l’illusione della verità, è l’inesistente, l’inautenticità: «appare, non si manifesta, è deforma e perde lo sguardo».

Lo ieromonaco del Patriarcato di Costantinopoli, Archimandrita Alessio, ha discusso sul tema La santità italo-greca, concentrandosi, in particolare, sulla vita di tre santi: San Gregorio di Agrigento (559- 630), riconosciuto per i suoi continui pellegrinaggi e per la profonda fede; San Metodio di Siracusa (n. a Siracusa, m. a Costantinopoli, 847), ricordato per il coraggio mostrato durante lo scontro tra iconofili e iconoclasti, i quali promuovevano la distruzione delle immagini; e infine, San Bartolomeo di Simeri (XI sec. – Rossano, 1130), in piena epoca normanna, menzionato per l’edificazione di un monastero e di una Chiesa tra Rossano e Corigliano e per la triste morte sul rogo indetto da accuse infamanti, culminata, però, con la richiesta di perdono dei fedeli ai suoi piedi.

Ultimo intervento è stato quello di Don Roberto Romeo (nella foto), ecumenista e docente di Ecclesiologia e Teologia Trinitaria presso l’I.S.S.R. Santa Maria della Lettera di Messina, che ha si è occupato de La presenza greca a Messina. Attraverso una precisa analisi storica, i primi greci sono comparsi in Sicilia attorno al VIII-VII secolo a.C., fondando delle colonie, tra cui la nostra Messina con il nome di Zancle. Questa attestazione, in particolar modo si rifà a lasciti nelle espressione linguistiche dialettali di radici di greco antico, in parole come naca (culla), collura (pane). In altri momenti, in epoca giustinianea soprattutto, ci sono stati altre migrazioni di gruppi più o meno numerosi di greci che hanno popolato il territorio peloritano.

L’evento si è concluso con una preghiera eucaristica preparata da suor Tarcisia Carniletto, delegata arcivescovile per la Pastorale ecumenica. (CLARISSA COMUNALE)

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