IL MARE VETRATO DI GIUSEPPE FINOCCHIO: UN POETARE SCALZO E GLABRO

«Versi sciolti/ poetare scalzo/ […] poetare glabro». Appare come un vero e proprio manifesto di poetica la prima lirica che apre l’ultima silloge di Giuseppe Finocchio, Il mare vetrato, edito Pungitopo. Si tratta di una raccolta di poesie “romanzate”, attraverso cui il lettore può seguire la storia di un amore clandestino che ritrova nel mare, dalla forte carica simbolica, la metafora della ciclicità di un rapporto di coppia. L’intersecare racconto e poesia costituisce non solo un versificare che va al di là dei canoni classici, al di là della “norma”, ma anche che si insinua nella continua ricercatezza lessicale, una ricchezza che sconfina nell’estetismo, nel puro piacere di scrivere.

Il mare vetrato, quel mare cangiante, metamorfico, struggente che incanta e incute timore, culla e si infrange burrascoso negli scogli, è la metafora che racchiude il cuore di tutte le liriche di Finocchio: l’oscillamento tra simmetria e asimmetria, tra una poesia che non bada a giri di parole, che non vuole mediare messaggi sublimi, ad una che vuole sfiorare una tensione apollinea, armonica, conciliativa. Così, dai toni vibranti, ricchi di passione erotica, si passa a versi malinconici e nostalgici, che cercano nell’immagine di un ricordo di catturare in maniera sbiadita esperienze amorose passate, come nella lirica Fremire Fremito. L’amore, fugace e doloroso, si consuma sul far della sera, i cui unici spettatori sono il mare e la sabbia, come accade in Corde marine. La sapidità del mare, dunque, fa trasudare la sapidità della vita, che è sempre alla soglia tra l’estasi e l’amarezza. Questo amore che “viene e che va” ritrova la sua felicità unicamente nel sentirsi in perfetta simbiosi con la natura che, attraverso profumi, colori e sapori tipicamente mediterranei, esprime l’unico aspetto di “perfezione” per l’autore, tanto che “soltanto qui, nella mia Messina, – dice Finocchio – riesco a scrivere e a trovare l’ispirazione, più qui che altrove; qui dove sono nato”.

I versi carichi di Finocchio esprimono, dunque, una poesia che apparentemente sembra crepuscolare e sommessa, ma che, invece, per la forza ermetica in alcuni punti, rivela il diretto coinvolgimento dell’autore stesso nella scrittura. Il ricorso continuo a sinestesie, l’iconicità, gli elementi onirici e alcuni punti complessi che compongono Il mare vetrato, permettono al lettore di entrare nel mondo intimo e personale dell’autore, che offre attraverso il poetare una finestra aperta sulla sua anima, come avviene in Carne abbondante, unica composizione “aliena” alla silloge, dal momento che il poeta presenta al lettore il suo alter ego, che lo inquieta e lo accompagna: « “l’altro me” ha gli occhi neri…/ ed uno strano sguardo tremulo/ stranamente asimmetrico/ ha un sorriso stentato e si proclama/ amante dell’arte/ e dell’intrattenimento».

Auctoritas per Finocchio è Shakespeare, richiamato direttamente nella lirica Te ne vuoi già andare?, ma già presente nella pubblicazione precedente, Versificare invernale (ed. Il Gabbiano), in Scimmiottando Shakespeare. In particolare, in questa ultima opera si avverte una maturità che sicuramente non cesserà di crescere per quelle future.

 

Giuseppe Finocchio, messinese, laureato in Conservazione dei Beni Culturali, specializzato in Archeologia Cristiana, coltiva da sempre la passione per la scrittura. Ha già pubblicato le poesie Zancle e Tremontum (Giulio Perrone) e la silloge Versificare invernale (Edizioni Il Gabbiano). I versi di Sole nero hanno ricevuto la menzione d’onore al Premio “Terremoti di Carta” 2013. Attualmente, con la dott.ssa Daniela Vinci, cura il progetto “Percorrere Antonello”, portando i messinesi per la città sulle tracce del celebre artista Antonello da Messina. (CLARISSA COMUNALE)

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