CONTINUITA’ TERRITORIALE UNA CIPPA!

C’è un librettino, pubblicato alla fine degli anni 40′, che raccoglie oltre ad uno strambo decalogo di doveri, storielle dappoco che nessun appiglio hanno con la realtà e che gli utopisti chiamano “diritti”. Il testo si intitola Costituzione e tutti le danno una grande importanza, anche se solo a parole -perché fa tanto radical chic- mentre una di queste storielle si chiama continuità territoriale ed è la protagonista della vicenda che mi accingo a raccontare.

Eh si, perché di mera favoletta trattasi, in fondo: in fin dei conti è sotto gli occhi di tutti che non esiste alcuna continuità territoriale. Viviamo in un Paese segmentato che termina all’altezza del polpaccio dello stivale; al di sotto di un certo confine le carrozze delle ferrovie diventano peggio della zucca di Cenerentola, le autostrade moderne lasciano il posto a strade malconce, insicure e lo specchio d’acqua che separa il continente dall’Isola è il laghetto personale del regno di un privato signorotto.

4In questo quadro ridicolo, in cui non solo la tutela del diritto non c’è ma addirittura la sua assenza si paga, in un giorno come oggi, caratterizzato dalla protesta dei lavoratori e cassaintegrati calabresi in rivolta per la mancata corresponsione di spettanze da mesi, la situazione raggiunge picchi d’assurdo. I manifestanti, sacrosantamente, scelgono di bloccare gli imbarchi di Villa San Giovanni (senza interrompere alcun pubblico servizio giacché il laghetto è proprietà privata del barone del feudo) e di continuare il presidio ad oltranza fino a che da Roma non avranno notizie confortanti sul loro futuro.

Ma, secondo voi, a chi deve raggiungere la Sicilia, che informazioni vengono fornite di tutto ciò? Ve lo dico io: nessuna! Tutto fila liscio in autostrada: nessuna indicazione allo svincolo, o segnalazioni fino all’arrivo alla rotonda della piazza antistante la stazione ferroviaria del comune calabrese. Qui, un agente della polizia municipale, senza fornire spiegazioni, indica la “deviazione” a Reggio Calabria. In buona sostanza è dal capoluogo che bisogna prendere la nave (Caronte) per raggiungere l’altra sponda dello Stretto e così si esce da Villa, si riprende l’autostrada e si imbocca la direzione giusta. Ma l’arrivo all’area portuale riserva una sorpresa clamorosa: il caos più assoluto.

Migliaia di veicoli, automobili e mezzi pesanti, incolonnati senza alcun criterio, affiancati nello spazio disponibile, su più file, occupanti corsie varie comprese quelle riservate al senso di marcia contrario. Incidenti sfiorati e risse tra conducenti. Gente infuriata chiede ragguagli ma nessuno può o sa darne. I presidi della Polizia di Stato sono solo una valvola di sfogo e un ufficio informazioni per chi è alla ricerca di chiarimenti ma, gli agenti sono qui per garantire la sicurezza, non altro;  e le disposizioni che hanno ricevute devono rispettare.

Chi può dare informazioni su quale nave parta, da dove e che tipo di mezzo imbarchi, sono i dipendenti della compagnia di navigazione e gli ormeggiatori:  ma nè gli uni nè gli altri sanno nulla.

“Io devo solo controllare i biglietti”, dice uno. “Sto impazzendo guardi, non so niente. Prima mi dicono che dobbiamo imbarcare solo tir, poi, quando li facciamo passare avanti, arriva il contrordine. Io non so più che fare. Mi scusi”, si interrompe bruscamente e scappa via per bloccare dei camion, gridando “chi vi ha detto di farli passare ora?”. E così le navi si spostano in modo da farsi spazio nell’unico attracco disponibile: chi imbarcherà, dove arriverà? Sarà Tremestieri o Rada San Francesco? E chi può dirlo!

Chi ha più urgenza di arrivare al di là del mare lascia gli amici o la famiglia in auto e corre via a piedi sperando di far prima. Nel frattempo, armata di telefono, provo a contattare ripetutamente Caronte&Tourist senza alcuna fortuna e, dopo esser diventata amica intima della voce guida che risponde al centralino, rinuncio all’ennesimo tentativo andato a male.

Trascorrono le ore nel buio più totale, senza ragguagli e senza informazioni; la gente discute, si confronta e fuori dai mezzi i commenti sono tutti simili: chi se la prende col sistema, chi con una classe politica inetta. Il governo non fa niente ma gli eletti degli ultimi decenni non sono stati degni dell’incarico attribuitogli dall’elettorato e contro questi si leva un coro unanime (tra me e me, però, mi chiedo se tutti questi “indignados” esprimano di norma un voto d’opinione o di favore). È una vergogna che si verifichino situazioni simili ma lo è altrettanto che non si gestiscano in alcun modo, sperando forse che ne resti traccia solo tra i cattivi ricordi degli utenti.

3La certezza di “chi conta” evidentemente è che, come spesso avviene, superata l’incazzatura, i malcapitati viaggiatori, una volta a casa, non avranno voglia di dare battaglia ma solo di fare una doccia e pulirsi di dosso la sozzura di un viaggio della speranza.

Se certi “capocchia” non avessero tali convinzioni relative all’ignavia e all’abitudine al disservizio dell’italiano che si limita alla lamentela momentanea qualunque lesione subisca -sia pure dei basilari diritti costituzionali- è ben probabile che il Prefetto di Reggio Calabria avrebbe dato disposizioni decenti per fronteggiare la situazione; è plausibile ritenere che ci sarebbe stato almeno un presidio della Protezione Civile, un’ambulanza, qualcuno che fosse stato pronto a soccorrere chi avesse avuto un malore, a fornire dell’acqua a chi avrebbe potuto non averne a sufficienza per tutto quel tempo in coda, offrire un minimo di supporto ad una donna incinta abbattuta dal caldo o ai tantissimi bambini e anziani nelle macchine affollate per ore senza poter fruire neppure di un bagno pubblico.

All’arrivo della prima nave (la seconda che vedo partire in un paio d’ore) si scatena il panico: “e adesso chi regolerà gli ingressi sul mezzo?”, mi chiedo.
“È compito degli operatori della compagnia e dell’A.P.”, mi dicono i poliziotti. Dal canto loro, suddetti operatori -quelli che si trovano in giro, almeno- non ritengono spetti a loro e non pare ci sia un superiore o un responsabile a cui chiedere.

Dunque le tante, troppe file, si uniranno in una, sovrapponendosi e incastrandosi in uno strambo tetris che rischia di trasformarsi in un tamponamento a catena. Appena attraccata la nave, i clacson iniziano a suonare all’impazzata e la gente ad urlare. Intervengono Polizia Municipale e agenti della Polizia di Stato per evitare sgradevoli incidenti. Imbarca qualche centinaio di auto e si parte.

Alle nostre spalle lasciamo pendolari, viaggiatori, turisti, cittadini che rimarranno in coda senza notizie ne servizi ancora per chissà quante ore, senza potersi rifocillare ne confrontare con qualcuno che sappia dargli certezze sul come e quando raggiungeranno l’altro lato dello Stretto.

E poco importa se in Sicilia ci sia il lavoro, la famiglia, un’urgenza, un parente in fin di vita, un’emergenza o una vacanza ad aspettarli, perché dalle nostre parti spostarsi è un lusso, costa caro e c’è un solo modo per farlo. E se c’è un intoppo nel funzionamento dell’ingranaggio (ad esempio la manifestazione di precari che non si vedono garantito un altro fondamentale diritto) e non lo si gestisce adeguatamente, la responsabilità non verrà assunta da nessuno ma solo scaricata su cittadini lesi e maltrattati da uno Stato incapace di rivestire il suo ruolo proprio (ossia chi blocca Villa San Giovanni).

Le conseguenze saranno tutte subite da chi avrà avuto la cattiva idea di mettersi in auto proprio in questo giorno. E, paradossalmente, l’unica speranza per manifestanti e viaggiatori diventa l’interesse privato come unico capace di  fare pressione sull’inerme classe politica perché almeno una situazione si possa risolvere: così Villa San Giovanni almeno potrebbe tornare a regime e tutti potremmo tornare alla normalità, una normalità che ovviamente non prevede la garanzia della famosa continuità territoriale.

Ma in fondo, che importa! Ciò che conta per il cittadino medio è lamentarsi nel chiuso di una stanza e poi lasciare che tutto resti uguale con il beneplacito di un elettorato che invece di reclamare un servizio efficiente sfrutta meglio il proprio tempo cercando un biglietto omaggio per traghettare, all’occorrenza! E sia chiaro: garantire un diritto costituzionale come quello in oggetto non è compito o dovere del privato ma dello Stato, lo stesso a cui non frega un bene amato tubo se l’unico modo per passare da Scilla a Cariddi sia farsi una bella nuotata! (@Eleonora Urzì)

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