Sbarco Torm Lotte. Provocarono la morte di decine di migranti tra cui un bambino, 5 in attesa di giudizio

Hanno pagato dai 250 ai 5mila dollari. A loro modo di vedere, era il prezzo della speranza, della libertà. In realtà, hanno pagato per essere uccisi. E’ questo quanto emerge dalle indagini aperte dalla Procura di Messina dopo lo sbarco della petroliera danese Torm Lotte, lo scorso 2o luglio, quando in città, tra i tanti migranti, giunse anche una piccola bara bianca. Diciannove in tutto le persone morte per asfissia, in quelle ore, nel Canale di Sicilia, nel tentativo di fuggire dalle coste libiche. Per quella strage, attualmente si ritrovano indagati in 5.

Le morti addebitate ad alcuni di loro sono in realtà molte di più, causate tutte con inaudita crudeltà. Queste cinque persone, tre tunisine e due palestinesi, sono a vario titolo indagate di aver tratto profitto dal trasporto di 750 tra uomini, donne e bambini, sottoponendoli a un trattamento inumano e degradante. Soprattutto, sono indagate in concorso tra loro, e con altri soggetti allo stato non identificati, per aver rinchiuso parte dei trasportati (coloro che avevano pagato una somma inferiore) nella stiva dell’imbarcazione, impedendo loro di uscire per respirare, colpendoli con calci, bastoni e coltelli, arrivando a provocare la morte di 19 di loro.

Nel tentativo di impedire le operazioni di soccorso dell’equipaggio della Torn Lotte, avrebbero anche indotto molti “passeggeri” a gettarsi in mare per raggiungere la riva a nuoto, generando la morte, tra gli altri, di Kiki Ahrnad, di appena 4 anni. Due dei 5 sospetti scafisti, in concorso con altri 6 individui, avrebbero ancora accoltellato e gettato in acqua, uccidendole, altre 60 persone.

Per tutti gli indagati – l’accusa più grave è di pluriomicidio in concorso – nei mesi scorsi, è stato richiesto l’incidente probatorio dai pm Antonella Fradà e Diego Capece Minutolo. Incidente probatorio concesso da Gip De Marco. Durante le numerose udienze sono stati interpellati molti degli africani superstiti che durante il viaggio si trovano nella stiva della nave, i quali sostanzialmente hanno confermato le accuse di omicidio e riconosciuto in aula gli indagati, in particolare coloro che guidavano la nave e coloro che erano posizionati a capo della stiva. Anche le difese, congiuntamente, hanno presentato richiesta di incidente probatorio che è stata accolta dal Gip Marino. Di tutti i testi indicati, tuttavia, solo uno è stato rintracciato ancora in Italia. A indicarlo, è stato Jamal Rajeb, difeso d’ufficio dall’avvocato Rosa Guglielmo.

Chiuso l’incidente probatorio, si attendono l’avviso conclusione indagini e il processo vero e proprio che si svolgerà davanti alla Corte D’Assise.

Questi gli indagati: i tuninisi Karouf Aref; Mohammed Zahi; Hicham Rjab; i palestinesi Rajeb e Saddam Abuhadayed. Quest’ultimo si trova rinchiuso a Gazzi mentre gli altri sono al Pagliarelli di Palermo.

 

 

Corte d’Assise

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