Messinesità #adminchiam – il gettone del Tagadà

di Simone Bertuccio – “E’ una giostra che va questa vita che gira insieme a noi e non si ferma mai”. La cantava Ivana Spagna, la ricordate? Era “Il cerchio della vita”, colonna sonora della versione italiana de “Il Re Leone”.

In questa giostra ci salgono un po’ tutti e chissà da quant’è che ci salgono, su questa giostra. Sì, forse ho fatto un poco elegante gioco di parole ma è un parco giochi, quello che si trova a Messina, che abbiamo sempre avuto davanti agli occhi. Una sorta di continuo Luna Park.

Sinceramente sono un po’ combattuto su cosa pensare, visti gli ultimi fatti riguardanti l’acqua, i corsi di formazione, la spazzatura e, per ultimo, questo dei gettoni di presenza. Non lo so davvero.

maninutellaMi muovo per casa cercando di avere un’idea chiara. Lo faccio passando dal divano al letto; dalla poltrona alla sedia. Cerco risposte nella Nutella, nelle castagne. Non riesco a darmi pace. Non riesco quasi a crederci che tutto questo stia accadendo. E, come al solito, un po’ ci godo. Non sono incredulo perché non credevo che tutto questo potesse accadere, anzi. Anzi! Tutto l’opposto. Sono attonito perché non riesco a credere che finalmente tutto stia uscendo al largo a poco a poco. In un mio pezzo di qualche giorno fa, quello riguardante l’emergenza idrica, dissi che Messina imploderà ed esploderà allo stesso tempo. Stanno crollando tutti gli avamposti della civiltà, quelli che tengono sù il più piccolo agglomerato di persone che si riuniscono per formare una comunità.

È tutto un collegamento in serie e noi tutti lo sappiamo. Lo sappiamo noi, lo sanno Loro e lo sanno tutti quelli vicini a noi e a Loro. È un po’ una sorta di effetto domino. Ci avete mai giocato? Il fatto è che alcune scosse devono essere date belle forti affinché qualcosa si muova e crolli. Ma è anche vero – ed è questo che mi sta piacevolmente stupendo – che ormai non abbiamo più bisogno d’inventarci nulla. Messina sta sfornando una serie di sceneggiature che Tarantino, per inventiva, può pure cercare di ritirarsi a vita privata.

Ne leggo e ne sento tante per ora. Bene. Benissimo. Ne sento di belle e di brutte. Bene. Benissimo. Ne sento di sbagliate e di giuste, di fondate ed infondate. Bene. Benissimo anche qui. Ci sono momenti in cui sono lì lì per sbattermi la testa contro lo spigolo della mensola – lì dove tengo la Nutella – per le prese di posizione senza capo né coda. Poi mi blocco. Sono un tipo impulsivo io e penso che tutto sto chiasso, sto rumore, fa bene, appunto. Benissimo.

Ma non va bene. E di certo, non va benissimo.

gettoneMa torniamo a noi. Il gettone per il Tagadà. Una volta che io lo compravo, sto gettone, il giro sulla giostra me lo volevo fare. Io non so perché siano cambiati i punti di vista. Ho fatto il furbo qualche volta, cercando di rimanere sulla giostra per il prossimo giro, magari camuffandomi con i nuovi arrivati, ma niente. Nulla da fare. Mi beccavano sempre. Ed io me ne tornavo da mia madre, un po’ soddisfatto, un po’ deluso, un po’ con la nausea dovuta ai 3000 giri al secondo. Ma me ne tornavo. E se mia madre sapeva che avevo fatto il furbetto, non mi avrebbe più permesso di salire su quella giostra, io sarei dovuto scappare di casa a 10 anni, cercarmi una nuova famiglia, o fuggire con un peschereccio per l’Islanda. Sono stato fortunato, dai.

Ne ho lette tante, davvero. Chi fa il garante, chi fa il boia. Ho letto i nomi e visto le loro foto e ho scrutato, per quanto possibile, i loro occhi. Niente di filosofico, tranquilli. Ho cercato di capire se sono esseri umani, se sono simili a me. E fino a prova contraria, lo sono. Hanno capelli, occhi, la pelle, i denti. Alcuni si vestono eleganti, alcuni in modo casual. Mi sono poi guardato allo specchio e mi sono ancora più convinto, diamine, che siamo uguali. Sono umani. Ma quindi, mi chiedo, cosa scatta in loro che a me non scatta? Scatta l’automatico? Scatta il fusibile? Di sicuro è stata scattata qualche fotografia, girato qualche video, registrato qualche dialogo.

Devono difendersi, è vero. Qualcuno riuscirà a spiegare, è vero. Me lo auguro, per gli innocenti. Non bisogna iniziare una caccia alle streghe e bisogna attendere di avere più certezze. Vero anche questo. Ma scusate, in quel Consiglio Comunale, ci sarà qualcuno che avrà svolto il proprio dovere con onestà? Credo di sì. Lo spero. Io vorrei chiedere a loro che ne pensano del loro lavoro e del lavoro dei loro colleghi. Perché così, scusate, si rischia di concentrarsi sui malati. Io, definitemi pure sadico, mi concentro sui sani. Sono anche quelle le facce che voglio far circolare.

“A Messina si parla troppo”, “A Messina siamo tutti buddaci”. Quante volte l’abbiamo sentita sta parola ultimamente? Tante e troppe volte. Ed all’inizio, non lo nego, anch’io la pensavo così. Poi però, man mano, ho sviluppato un pensiero. Il messinese non lo puoi cambiare. Sarebbe come costringere i francesi a modificare la R moscia, il catanese a cambiare la cantilena, Berlusconi a non  presentarsi più in nessuna piazza d’Italia e del mondo, Salvini a trasferirsi a Brancaccio. Sarebbe come costringere una ragazza a non incavolarsi quando il proprio ragazzo va a giocare con gli amici lasciandola a casa a guardare “Amici”, o Slash a non usare il Cry Baby (effetto per chitarra, nds). È impossibile. E allora, se è una cosa che non possiamo cambiare, peggioriamola. Parliamo tanto? Ecco: dobbiamo iniziare a parlare di più. Perché il messinese parla, sì, ma a convenienza. Critica tanto, è vero, ma può essere che poi, quando fa i fatti, sbaglia. Avete letto bene: i fatti. Il messinese i fatti li fa. Ma è definito buddace anche perché è un tantino ipocrita.

Quindi il messinese parla, ma lo fa male.

Agisce, ma lo fa male e siccome puntiamo più sulla caratteristica scritta sopra, quanto vale investire su questa. Fateci caso: togliete ai messinesi questa caratteristica di essere buddaci. Si avrebbero solo persone inermi, taciturne, silenziose, tristi. Sapete a chi assomiglieremmo? Agli abitanti di uno dei distretti attorno a Capital City, la ricca città di cui si racconta nel libro e nel film di Hunger Games. Tutti immobili, tutti succubi. Silenziosi, vittime sacrificali di un sistema che t’impone il silenzio e t’obbliga all’immobilità. Totale. E in ogni caso, se volessimo accettare questa situazione, quanto vale instaurare una dittatura anziché una farlocca democrazia. Ma anche lì, poi, qualcuno inizierebbe inevitabilmente a parlare, bisbigliare. L’animo del messinese tornerebbe in auge e quindi, ancora una volta, tutto tornerebbe a manifestarsi nella sua naturale propensione: parlare. E cosa avremmo concluso?

Messinese, peggiora! “Una catena è forte quanto il suo anello più debole” e se questo è il nostro difetto, beh, rafforziamolo.

Ad ogni modo però, io ho fatto un altro semplice ragionamento. Questi Consiglieri, ritenuti responsabili dei reati continuati di truffa aggravata, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d’ufficio, prima d’aver commesso tutti questi fattacci, potrebbero essersi macchiati di un’altra grave onta: essersi proposti, spesso, come condottieri di una battaglia mirata alla conquista di una Messina che fosse finalmente libera da mezzi-uomini e ominicchi, cattiva politica, cattiva amministrazione, cip e ciop, l’utilizzo di t-shirt; che si potesse arrivare a “L’alba di un mondo nuovo”, come il libro di Alberto Asor Rosa, che si potesse avere, finalmente, il messia. Ma di messia già ne abbiamo uno: ha una N in più, si chiama Messina e sta giocando un campionato eccellente in Lega Pro. Scusate eh, ma se il messinese parla parla, se pensa solo al “Messina la la la, oh oh oh”, è anche un po’ per colpa vostra, suvvia.

Ripetete e fate sempre le stesse cose. Vi hanno beccato con le mani nella marmellata, o nella Nutella, per restare in tema.

Io non sto qui a dire se la presenza in un aula sia direttamente proporzionale all’impegno che abbiate messo nel vostro “lavoro” (?) di Consiglieri. È un po’ come dire che la mia presenza durante le lezioni di religione a scuola, significasse che mi alzassi sulla sedia iniziando a parlare di teologia a tutta la mia classe. L’esempio però è un po’ forzato: a scuola non mi mettevo nulla in saccoccia, e se  qualche giorno mancavo, dovevo sperare che i miei genitori fossero così clementi da credere alla mia storia. Ok, è anche vero che non esiste alcuna legge, nulla di nulla, che vi obblighi a restare in aula. Belle regole del gioco, eh?

Ad ogni modo però, che abbiate fatto assenze perché dovevate cambiare il mondo, o perché dovevate andare dal meccanico, o perché dovevate correre la 24 ore di Le Mans, io, scusate, ma riesco a giustificarle. Perché, mi hanno insegnato che, o ci si adatta alle regole oppure quelle regole vanno cambiate.

“A me, di fare le commissioni, non me ne fotte niente, io voglio l’indennità”.

Ehm. No. Bisogna proprio cambiare le persone.

 

 

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