Lettera Aperta a Sostegno dei Cinema Indipendenti

di Umberto Parlagreco – Venerdì sera, 8 maggio, come i più attenti di voi sapranno si sono tenuti i David di Donatello. Un’edizione strana, che si è dovuta adattare alle esigenze di questo altrettanto strano periodo di pandemia globale.
In occasione della cerimonia, le associazioni di categoria hanno deciso di riportare al centro del dibattito pubblico l’importanza della sala come luogo fisico, lanciando un flash mob (non lo era esattamente, ma è una di quelle espressioni molto abusate che fanno tendenza), invitando le sale italiane a riaccendere le luci. Riaccendiamo il cinema!
Anche io ho partecipato, e sono rientrato all’Iris dopo molti giorni.
Certo, in questi 60 giorni di chiusura ero già entrato per fare manutenzione, per controllare le scadenze della merce del bar, ma non sono mai stati momenti malinconici, e nemmeno, forse per incoscienza, di troppa preoccupazione. Venerdì sera invece la sensazione di essere dentro uno di quei film post apocalittici, dove tipicamente una bomba atomica fermava il tempo in un istante, mi ha sopraffatto: le locandine  di Harry Potter accanto a quelle di Fellini (ottima sintesi del lavoro che facciamo), il tavolo con il bollitore per le tisane, persino l’orologio fermo alle 7.15 (che qualcosa vorrà dire); in quel momento ho avuto davvero paura che indietro non torneremo mai più, che forse l’iris come lo abbiamo conosciuto in questi venti anni non esisterà più.
Una sensazione che mi sono reso conto in quel momento, mi ha accompagnato, silenziosa, in tutti questi giorni di riposo forzato; un po’ come quel famoso ovosodo che non va né su né giù.

In questi giorni il cinema, la sala cinematografica è scomparsa dal dibattito pubblico; in generale ho visto che i media da subito hanno celebrato il funerale della sala, parlando di come riprodurre il cinema a casa (persino con i link amazon dove trovare il sistema Home Theatre perfetto), ho letto articoli spendersi per lanciare l’idea che il cinema sarebbe potuto risorgere grazie ai drive-in, ho visto che l’espressione ‘sala virtuale’ è diventata comunissima, qualunque cosa voglia dire, ho visto, e vedrò, nascere piattaforme streaming di ogni tipo, ognuna portatrice di presunte novità e sono cose che sono sicuro avete letto e visto anche voi.

Il mondo dell’esercizio cinematografico è un mondo eterogeneo, molto eterogeneo: in prima istanza esistono i grossi circuiti (UCI e The Space tipicamente) che hanno un modello di business diverso da quello che possono avere altre piccole realtà, ed ovviamente esigenze diverse; esiste poi tutto un altro mondo, di cui l’Iris fa parte, di cinema indipendenti, ognuno dei quali lavora sul territorio, è a stretto contatto con i propri clienti, crea nel proprio cinema una vera e propria linea editoriale, rappresenta un avamposto culturale fondamentale per il tessuto sociale del paese. Tutte queste sale, messe assieme, rappresentano un patrimonio che sarebbe bene salvaguardare: fate sparire da Messina l’Iris e l’Apollo (cinema diversi, con idee probabilmente diverse, ma indipendenti allo stesso modo), cosa resta? La diversità è ricchezza, non è mai pericolosa, è necessario dirlo e ribadirlo ogni volta che se ne ha l’occasione. In Italia esistono centinaia di queste sale, esistono centinaia di persone che lavorano in queste sale: pensare che uno streaming possa sostituire una sala, significa cancellare con uno snap queste persone, con la differenza che nessun Avenger le porterà indietro. Il Cinema è al Cinema, sempre, altrimenti è un’altra cosa, che ha la sua dignità e la sua importanza, ma è un’altra cosa.

La pandemia c’è, sarebbe bello un mondo dove i virus letali li vediamo solo al cinema (o in streaming, dai), ma bisogna anche accettare il fatto che se una sala viene ritenuta veicolo di contagio, è giusto che sia chiusa; se sarà necessario prendere delle precauzioni per tenere il nostro pubblico al sicuro, prenderemo tutte le precauzioni che ci diranno di prendere, non siamo degli incoscienti che pretendono di aprire domani.
Quello che vorrei però è che questa chiusura forzata sia anche l’occasione per immaginare un mercato diverso, vorrei che si facesse un bel respiro e che si rivedessero alcune di quelle regole che rendono il nostro lavoro inutilmente complicato, e questa mia esigenza è condivisa da moltissime sale; ci siamo parlati, finalmente, ci siamo confrontati ed abbiamo scoperto di non essere soli né così pochi.
E’ nata così una lettera aperta, un appello, che chiede la salvaguardia di questi cinema indipendenti, che chiede che vengano riviste alcune di quelle regole di mercato che sembrano dei totem, dei tabù.
Vi chiedo di perderci due minuti, di leggerla la lettera, di sottoscriverla, ma solo se condividete da pubblico quello che è scritto.

Forse è vero che l’Iris non sarà più come lo è stato nei vent’anni precedenti, ma non è detto che sia necessariamente un male.
Cambiare spesso è necessario, e alle volte si ha la fortuna di cambiare in meglio.

La lettera integrale la trovare qui, se condividete quanto scritto e volete sottoscriverla dovete farlo qui.

(@CronacheDal)

 

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