Intervista a Gianluca Manca “mio fratello vittima sacrificale della mafia”

di Michele Bruno – A 17 anni dalla morte dell’urologo Attilio Manca, ucciso nel Febbraio 2004 per aver avuto in cura l’anno prima Bernardo Provenzano, intervistiamo il fratello, Gianluca (clicca qui), che lotta ancora oggi perché venga fuori la verità nei processi, e venga fatta giustizia.

“A distanza di anni, esiste una verità storica e oggettiva, ci sono tutta una serie di indizi che fanno una prova evidente – spiega Gianluca – mio fratello non si è suicidato e non era tossicodipendente, come volevano far credere”.

Un tentativo di coprire la verità secondo Gianluca “pensate che nella siringa con cui si sarebbe ucciso non c’erano impronte, né sue, né di altri… c’è per forza qualcosa che non quadra, ed è evidente che lo abbiano ucciso, altrimenti noi familiari ce ne saremmo fatti una ragione”.

“Mio fratello è una vittima sacrificale – afferma Gianluca Manca – esattamente come nell’antico Egitto venivano uccisi e tumulati nelle Piramidi gli stessi costruttori, perché ne conoscevano i segreti”.

Gianluca parla della forza della mamma Angela e descrive il suo cuore come “un grande oceano che racchiude comprensione e determinazione, voglia di conoscere la verità”. Lei ha fatto emergere aspetti che la Procura di Viterbo non ha mai vagliato”.

“Messina non è la Provincia Babba, come si vuole far credere – spiega – e Barcellona è stata considerata dall’ex Procuratore della DIA Lo Forte la nuova Corleone, così diventata verso la fine degli anni ’80 e i ’90, luogo di incontro di massoneria e servizi segreti deviati e mafia. Ha offerto la latitanza dorata a Nitto Santa Paola, al cui passaggio è morto  Beppe Alfano, a Gerlandi Alberti Junior, al cui passaggio è morta Graziella Campagna, e poi mio fratello… E’ un luogo strategico. A Barcellona fu realizzato anche un summit per decidere un attentato al Procuratore Pignatone“.

Il motivo per cui Provenzano è arrivato proprio tra le mani di Attilio è che “L’arrivo di Bernardo Provenzano avrebbe fatto fare un salto a Barcellona come primo centro della mafia siciliana e italiana. Perciò ci si è adoperati perché della cura al tumore alla prostata di Bernardo Provenzano, o la cura dei postumi, si occupasse Barcellona. La rete che ha portato Provenzano a Barcellona, ha portato ad affidarlo ad Attilio, che allora era uno dei migliori nel suo campo, e così è stato portato a Marsiglia, dove Provenzano fu operato”.

“Solo grazie alla trasmissione televisiva Chi l’ha Visto si è potuto far coincidere – dice – dopo 8 anni, la sua partenza per Marsiglia con il periodo di una settimana in cui Attilio non ha prestato servizio a Barcellona”. 

E poi conclude, trattando uno dei fatti della vicenda successiva alla morte che più hanno fatto scalpore:

“Non avrei mai voluto fare quello che ho definito il mio gesto di disperazione, è stato un atto di coraggio perché non avrei voluto farle vedere a mia madre. Quello che ho vissuto io al riconoscimento del corpo, non avrei voluto farlo provare a loro”. 

 

 

 

 

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