“La grande menzogna”, nel teatro della verità David Coco è Paolo Borsellino: un monologo necessario e coraggioso

di Palmira Mancuso – “Della verità ne hanno fatto coriandoli, stelle filanti, giochi pi picciriddi”. E’ Paolo Borsellino il morto che parla, quello a cui non interessa di essere un santino, un eroe. Quello che non vuole atti di fede, perchè la menzogna fa più male del tritolo e con questo noi, spettatori inermi di una messa in scena nel teatro della realtà, dobbiamo fare i conti.

Nello scrigno del Palazzo Calapai, quel Cortile che ha dato il nome al Teatro Festival, che resta un coraggioso e apprezzato atto di resistenza firmato da Roberto Zorn Bonaventura e dalla sua squadra, è diventato il luogo perfetto per creare quell’intimità con un personaggio a cui sono legati ricordi personali, scelte di vita, di impegno civile. Il Paolo Borsellino che ci parla con le parole di un ispiratissimo Claudio Fava, che nella scrittura cinematografica e teatrale da il meglio di se, ci sta giudicando, ci mostra tutta la nostra incapacità di andare oltre quello che ci fanno sapere, fino ad accontentarci di una storia preconfezionata e rivenduta con qualche lacrima ogni 19 luglio da quel lontano 1992.

Questo monologo, perfetto anche nella struttura, nei tempi, in ogni singola battuta, è stata una prova d’attore largamente superata per David Coco, che fin dal suo ingresso in scena, con quella cura meticolosa dei particolari, dei gesti, ci ha restituito un gigante come Borsellino in maniera credibile. Abbiamo ritrovato la sua amara ironia, quella sicilianità che è la lente con cui interpretare i fatti: tutti, anche quelli scomodi. E questo è un testo scomodo: uno spettacolo necessario in tempi in cui al teatro si trova quella verità che nella realtà è mascherata.

Ci sono Pirandello e Sciascia in questo lavoro, c’è pure Franco Battiato, che del “diritto alla conoscenza” ha fatto la sua ultima battaglia a fianco di Marco Pannella e che riecheggia nel canto di Coco/Borsellino in quel mare in cui ciascuno di noi è annegato o ha desiderato farlo. Quello che emerge da questo testo è quel complesso di giustizia e verità che anche nel caso dell’uccisione del giudice Paolo Borsellino non è netta, e con chiarezza solo un siciliano può ben capire che la mafia è stata da sempre un ottimo alibi per giustificare attentati che nascondono molto altro. Si potrebbe dire insomma che la mafia sta ai servizi segreti  come le corna stanno alla mafia, del resto anche nel caso della morte di Paolo Borsellino alcuni fatti, puntualmente documentati e difficili da smentire, mostrano un depistaggio riconosciuto anche processualmente ma a cui il tempo e la noncuranza della pubblica opinione, a cui basta “l’atto di fede” della commemorazione, hanno regalato l’assoluzione dell’oblio.

E’ dunque un esercizio di memoria, un mettere in fila fatti dispersi come coriandoli, che ci chiede il Borsellino di Fava, che ci mostra i pupi ma non i pupari, che ci chiede di non tagliare quei fili della storia. E’ il nostro castigo.

Fuori dalla retorica, pensavamo fosse difficile trovare ancora parole nuove, emozioni intatte, rabbia e passione attorno alla storia della Strage di Via d’Amelio, ma David Coco e Claudio Fava, la Nutrimenti Terrestri e i teatri che ci auguriamo ospiteranno questo intenso e affatto scontato lavoro, hanno riacceso quella speranza per la quale è ancora degno svegliarsi ogni giorno.

 

 

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